La manovra 2018 traduce in realtà l’obbligo di fattura elettronica nelle operazioni tra privati. Un obbligo che, però, sarà articolato in due tempi. Si comincerà dal 1° luglio 2018 per cessioni di benzina o gasolio per motori e per le prestazioni di subappaltatori nel quadro di un contratto di appalti pubblici. Poi dal 1° gennaio 2019 l’obbligo sarà esteso a tutte le operazioni business to business (le cosiddette B2B) e viaggerà attraverso il sistema di interscambio (lo Sdi), lo stesso canale in cui sono già transitate le fatture elettroniche verso la Pa e di recente i dati delle comunicazioni delle liquidazioni Iva e quelli per lo spesometro. E in questo caso non sono mancati problemi, come più volte sottolineato nelle ultime settimane.
La filiera dei carburanti
Partire dalla filiera dei carburanti ha un significato e un obiettivo strategico ridurre le frodi Iva che penalizzano le imprese che operano correttamente. Frodi che scaturiscono sia dall’utilizzo di lettere d’intento false che dai depositi Iva. Qualche esempio? Il prodotto parte da un deposito fiscale (conosciuto e ben identificato) ed è destinato a un altro deposito commerciale o a una pompa di benzina. Ma tra il mittente e destinatario si interpongono una serie di soggetti non tracciati che effettuano la frode (acquisto senza Iva, fattura con Iva al cliente, non versamento dell’imposta e scomparsa dell’impresa interposta). Da qui l’esigenza di una totale tracciabilità di tutti i passaggi che la fattura elettronica potrebbe contribuire a garantire.
L’estensione a tutti gli altri operatori
Dal 2019 la fattura elettronica diventerebbe obbligatoria per tutte le operazioni B2B. Per poter allargare la fattura elettronica a tutte le operazioni commerciali tra operatori economici, l’Italia è passata da una richiesta alla Commissione europea che le consentisse di derogare al divieto comunitario all’obbligatorietà. Una delle motivazioni a sostegno è rappresentato dall’alto divario misurato con il tax gap, ossia la differenza tra l’Iva teoricamente dovuta e quella poi effettivamente riconosciuta all’Erario. Un divario “certificato” anche dall’ultimo rapporto sull’evasione Iva di Bruxelles, per il quale il gap dell’Italia è stato di 35 miliardi di euro nel 2015, ossia il più alto di tutta l’Unione in valore assoluto.