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Residenza fiscale all’estero: niente dichiarazione in Italia

Redditi di lavoro dipendente e residenza fiscale all’estero, con iscrizione all’AIRE: niente dichiarazione, dice la Cassazione n. 21442/2017

In presenza di redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero, il cittadino italiano, privo di residenza fiscale in patria, non deve dichiarare tali proventi, né corrispondere le imposte nazionali, attesa la prevalenza della norma convenzionale rispetto alla normativa tributaria interna, in caso di contrasto fra le stesse. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione sezione tributaria nella sentenza N. 21442 del 13 ottobre 2017 … (segue)

Contributo albo autotrasporti 2018: quote e scadenze

In vigore la nuova delibera del MIT con le quote relative al contributo albo autotrasportatori da versare entro il 31.12.2017

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato la delibera 18.10.2017, pubblicata in G.U. lo scorso 30 ottobre, con cui definisce le quote dovute dalle imprese di autotrasporti per la gestione dell’albo nazionale autotrasportatori, da parte del  Comitato Centrale.

La delibera stabilisce che entro il 31 dicembre  2017,  le imprese iscritte all’Albo Nazionale degli Autotrasportatori alla stessa data, devono versare la quota dovuta sulla base degli importi già in vigore per il 2017. 

Il versamento della quota deve essere effettuato unicamente attraverso il sistema di pagamento telematico presente sul sito www.alboautotrasporto.it tramite carta di credito Visa, Mastercard, carta prepagata PostePay, conto corrente BancoPosta on line.

L’importo è visualizzabile  sul sito stesso e seguendo le istruzioni  in  esso reperibili.
Va sottolineato che qualora il versamento non venga effettuato entro il  termine  previsto  l’iscrizione  all’Albo  sarà sospesa.

 RIEPILOGO QUOTE ALBO AUTORASPORTI PER IL 2018  

1.1 Quota fissa di iscrizione dovuta da tutte le imprese comunque iscritte all’Albo: € 30,00 

1.2 Ulteriore quota dovuta da ogni impresa  in  relazione al numero di veicoli utilizzati  per l’attività:

  • A  da 2 a 5   € 5,16
  • B  da 6 a 10   € 10,33
  • C  da 11 a 50   € 25,82
  • D  da 51 a 100   € 103,29                        
  • E  da 101 a 200   € 258,23
  • F  superiore a 200   € 516,46

1.3 Ulteriore  quota aggiuntiva dovuta da ogni impresa  per ogni  veicolo con massa complessiva superiore ai 6000 kg:

  •   A    da 6.001 a 11.500 chilogrammi   € 5,16
  •   B   da 11.501 a 26.000 chilogrammi   € 7,75
  •   C    oltre 26.000 chilogrammi   € 10,33

Split payment ad ampio raggio: le novità in vista degli adempimenti

Possibilità di versamento diretto dell’Iva con F24 entro il 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza compensazione e con apposito codice tributo

Con la circolare 27/E del 7 novembre 2017 l’Agenzia delle entrate illustra la nuova disciplina Iva della scissione dei pagamenti (split payment) applicabile dal 1° luglio 2017.
Si tratta del meccanismo in base al quale l’Iva relativa agli acquisti di beni e servizi è versata direttamente all’Erario dagli acquirenti, scindendo appunto il pagamento dell’imponibile (effettuato in favore del fornitore) da quello dell’imposta (effettuato direttamente in favore dell’Erario).
La nuova disciplina, introdotta dall’articolo 1, Dl 50/2017 (convertito, con modificazioni, dalla legge 96/2017), alla luce delle nuove modalità di attuazione definite dai decreti del 27 giugno 2017 e del 13 luglio 2017, si caratterizza per:

  • l’estensione dell’ambito di applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti alle operazioni effettuate nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni destinatarie delle norme in materia di fatturazione elettronica obbligatoria, nonché delle società controllate da pubbliche amministrazioni centrali e locali, nonché delle società quotate incluse nell’indice Ftse Mib (“Pa e società”)
  • l’applicazione della scissione dei pagamenti ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute ai fini delle imposte sul reddito (professionisti)
  • la possibilità per le Pa e società acquirenti di beni e servizi di anticipare l’esigibilità dell’imposta al momento della registrazione della fattura di acquisto
  • la possibilità per le Pa e società acquirenti di beni e servizi di effettuare il versamento diretto dell’imposta dovuta con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza possibilità di compensazione e utilizzando un codice tributo che sarà appositamente istituito. Ciò, in alternativa, all’annotazione delle fatture di acquisto, oltre che nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25, Dpr 633/1972, anche nel registro di cui agli articoli 23 o 24 dello stesso Dpr.

Sotto il profilo temporale, la nuova disciplina si applica alle operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017 e la cui imposta sia divenuta esigibile dalla stessa data, fino al termine di scadenza della misura speciale di deroga rilasciata dal Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/Ce, ossia fino al 30 giugno 2020.

Ambito soggettivo di applicazione
La nuova disciplina della scissione dei pagamenti, applicabile dal 1° luglio 2017, riguarda gli acquisti di beni e servizi effettuati da soggetti rientranti nella nozione di pubblica amministrazione nonché da società controllate dalle Pa e dalle principali società quotate.

Individuazione delle Pubbliche Amministrazioni
Il meccanismo dello split payment si applica agli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni destinatarie delle norme in materia di fatturazione elettronica obbligatoria (articolo 1, commi da 209 a 214, legge 244/2007). Si tratta:

  • delle Pa inserite nel conto economico consolidato, individuate dall’Istat, e delle Autorità indipendenti
  • dei soggetti di cui all’articolo1, comma 2, Dlgs 165/2001, ossia: amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole e le istituzioni educative; aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo; regioni, province, comuni, comunità montane, e loro consorzi e associazioni; istituzioni universitarie, istituti autonomi case popolari, Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni; tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale; Aran e Agenzie fiscali di cui al Dlgs 300/1999; Coni
  • delle amministrazioni autonome. 

Ai fini dell’esatta individuazione delle Pa tenute ad applicare la scissione dei pagamenti occorre fare riferimento all’elenco pubblicato sul sito dell’Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa), www.indicepa.gov.it, senza considerare, tuttavia, i soggetti classificati nella categoria dei “Gestori di pubblici servizi”, che, pur essendo inclusi nell’anzidetto elenco, non sono destinatari dell’obbligo di fatturazione elettronica.
La disciplina della scissione dei pagamenti non si applica, inoltre, agli enti pubblici gestori di demanio collettivo, limitatamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi afferenti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico.

Individuazione delle società
La scissione dei pagamenti si applica agli acquisti effettuate dalle:

  • società controllate, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, nn. 1) e 2), del codice civile, direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri
  • società controllate, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, direttamente dalle regioni, province, città metropolitane, comuni, unioni di comuni
  • società controllate direttamente o indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, dalle società di cui alle lettere a) e b), ancorché queste ultime rientrino fra le società di cui alla lettera d) ovvero fra i soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 196/2009. In tale ambito sono incluse le società il cui controllo è esercitato congiuntamente dalle pubbliche amministrazioni centrali di cui alla citata lettera a) e/o da società controllate da queste ultime e/o dalle pubbliche amministrazioni locali di cui alla lettera b) e/o da società controllate da queste ultime
  • società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della borsa italiana.

In ordine alla specifica individuazione delle società per le quali trova applicazione la scissione dei pagamenti, occorre avere riguardo agli elenchi pubblicati sul sito istituzionale del dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia e delle Finanze. Tali elenchi, chiarisce l’Agenzia, hanno valore costitutivo e, a seguito della loro pubblicazione definitiva, non è più utile per il fornitore, richiedere alle Pa e società cessionari/committenti il rilascio di un documento attestante la loro riconducibilità a soggetti per i quali si applicano le disposizioni del presente articolo. L’eventuale rilascio dell’attestazione da parte del cessionario/committente in contrasto con il contenuto degli elenchi definitivi è, pertanto, evidenzia l’Agenzia, da ritenersi priva di effetti giuridici.

Ambito oggettivo di applicazione
Novità della disciplina applicabile dal 1° luglio 2017 è rappresentata dal fatto che vengono ricondotte nell’ambito di applicazione dello split payment, oltre alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate, nel territorio dello Stato, alle pubbliche amministrazioni e alle società di cui sopra, anche le prestazioni di lavoro autonomo rese a favore delle stesse che, fino al 30 giugno 2017, erano escluse.
La scissione dei pagamenti riguarda le operazioni documentate mediante fattura emessa dai fornitori, ai sensi dell’articolo 21, Dpr 633/1972, che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
Il documento di prassi si sofferma sulle fattispecie escluse sulla scissione dei pagamenti, implementandole ulteriormente rispetto a quelle già vigenti.
Si tratta delle seguenti fattispecie:

  • acquisti per i quali i cessionari o committenti sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto (reverse charge)
  • operazioni effettuate da fornitori che applicano regimi Iva “speciali”
  • operazioni esonerate dall’obbligo di certificazione fiscale, in relazione alle quali i corrispettivi sono annotati nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 24, Dpr 633/1972
  • operazioni in cui il soggetto passivo acquirente intende avvalersi, sussistendone i requisiti, del plafond di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c, Dpr 633/1972
  • operazioni nelle quali la Pa non effettua alcun materiale pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore in quanto il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli e – in forza di una disciplina speciale contenuta in una norma primaria o secondaria – trattiene lo stesso riversando un importo netto alla Pa committente
  • operazioni in cui il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli, in forza di un provvedimento giudiziale (ad esempio, le prestazioni rese dal professionista delegato dall’autorità giudiziaria alla procedura di esecuzione immobiliare, in relazione alla fatturazione del compenso)
  • operazioni effettuate tra Pa e società – entrambe destinatarie del meccanismo della scissione dei pagamenti – ogni qual volta l’assenza di pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore trovi la sua giustificazione nella compensazione tra contrapposti rapporti di credito
  • operazioni permutative di cui all’articolo 11, Dpr 633/1972
  • operazioni rese in favore dei dipendenti (ad esempio, vitto e alloggio per trasferta dipendenti) nell’interesse del datore di lavoro (Pa e società) quando la fattura sia stata emessa e intestata nei confronti del dipendente della Pa o società.

Adempimenti dei fornitori
In relazione all’operazione effettuata nei confronti della Pa e società il fornitore dovrà consultare gli elenchi predisposti dal dipartimento delle Finanze del Mef per verificare che l’acquirente sia incluso tra i soggetti obbligati alla scissione dei pagamenti e, in tal caso:

  • emettere la fattura con l’annotazione “scissione dei pagamenti” ovvero “split payment”
  • operare la registrazione delle fatture emesse senza computare (a debito) l’imposta ivi indicata nella liquidazione periodica.

Esigibilità dell’imposta
La nuova disciplina della scissione dei pagamenti presenta, rispetto alla precedente, alcune novità sotto il profilo dell’esigibilità dell’imposta. Analogamente, è previsto che l’imposta, relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, diviene esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi. La novità è, tuttavia, rappresentata dalla circostanza che le Pa e le società cessionarie/committenti possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della registrazione della fattura di acquisto.

Adempimenti delle Pa e società acquirenti
Una novità che caratterizza la nuova disciplina della scissione dei pagamenti riguarda la modalità di versamento dell’Iva all’Erario da parte di Pa e società che effettuano acquisti di beni e servizi nell’esercizio di attività commerciali. In tali ipotesi, pa e società cessionarie/committenti potranno effettuare il versamento diretto all’Erario dell’imposta dovuta con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza possibilità di compensazione e utilizzando un apposito codice tributo.
In alternativa, le Pa e società potranno continuare ad avvalersi della possibilità, già prevista nella precedente disciplina, di annotare le fatture di acquisto nel registro di cui agli articoli 23 o 24, Dpr 633/1972, entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente nonché nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25, Dpr 633/1972, ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione della relativa imposta.

In sede di prima applicazione, con lo scopo di agevolare l’adeguamento dei processi e dei sistemi informativi relativi alla gestione amministrativo-contabile e, comunque, non oltre il 31 ottobre 2017, le pubbliche amministrazioni accantonano le somme occorrenti per il successivo versamento dell’imposta, da effettuarsi in ogni caso entro il 16 novembre 2017.
Il differimento del versamento dell’Iva da scissione dei pagamenti, tuttavia, non è applicabile alle pubbliche amministrazioni che già applicavano tale meccanismo a partire dal 1° gennaio 2015.
Le società tenute all’applicazione della scissione dei pagamenti possono annotare le fatture, per le quali l’esigibilità si verifica dal 1° luglio 2017 al 30 novembre 2017, ed effettuare il relativo versamento dell’imposta, entro il 18 dicembre 2017.

Regolarizzazione e note di variazione
Chiarisce il documento di prassi che, a decorrere dal 1° luglio 2017, nell’ipotesi in cui il fornitore emetta nei confronti delle nuove pubbliche amministrazioni e società interessate dalla rinnovata disciplina una nota di variazione in aumento, torna sempre applicabile il meccanismo della scissione dei pagamenti. Diversamente, quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione, che si riferisce a fatture originarie emesse prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina della scissione dei pagamenti, alla stessa si applicheranno le regole ordinarie. Si conferma la semplificazione, già prevista in passato, per cui ai fornitori che hanno già implementato i propri sistemi di fatturazione e contabilità alla disciplina della scissione dei pagamenti è consentito applicare la predetta disciplina anche per le note di variazione in diminuzione emesse dopo il 1° luglio 2017 che si riferiscono ad una fattura originaria emessa antecedentemente a tale data, ossia prima dell’introduzione della nuova disciplina dello split payment.

Acconto Iva
Con riferimento all’acconto Iva, la circolare precisa che le Pa e società cessionarie/committenti, laddove soggetti passivi Iva, nel determinare il versamento dell’acconto Iva da effettuare nel mese di dicembre devono tenere conto anche dell’imposta divenuta esigibile ai sensi della disciplina della scissione dei pagamenti.
Per l’anno 2017, tuttavia, pa e società che determinano l’acconto Iva con il “metodo storico”, ossia secondo le risultanze dell’anno 2016, dovranno operare un ulteriore versamento di acconto, determinato sulla base dell’ammontare dell’imposta da scissione dei pagamenti divenuta esigibile nel mese di novembre 2017, ovvero, in caso di liquidazione trimestrale, nel terzo trimestre del 2017.

Rimborsi
Al fine di limitare gli effetti finanziari negativi per i fornitori che, a seguito della disciplina della scissione dei pagamenti, non incasseranno l’Iva dovuta sulle operazioni rese a pubbliche amministrazioni e società, la circolare rammenta la possibilità per i contribuenti di chiedere in tutto o in parte, nella dichiarazione annuale o nell’istanza trimestrale, il rimborso dell’eccedenza detraibile (se di importo superiore a 2.582,28 euro), computando le operazioni effettuate in regime di split payment tra le operazioni cosiddette ad aliquota zero. Tali operazioni danno diritto, inoltre, all’erogazione prioritaria del rimborso nel limite dell’ammontare dell’imposta applicata a tali operazioni nel periodo di riferimento.

Sanzioni
La circolare in commento rammenta che per le forniture di beni e servizi effettuate nei confronti delle pa e società, i fornitori devono emettere fattura con l’indicazione “scissione dei pagamenti” o “split payment”, pena l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 9, comma 1, D lgs 471/1997.
L’omesso o ritardato adempimento del versamento all’Erario (per conto del fornitore) da parte delle Pa e società è sanzionato ai sensi dell’articolo 13, Dlgs 471/1997.
La circolare ben evidenzia, infine, che in ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, in considerazione dell’incertezza in materia in sede di prima applicazione della nuova disciplina, sono fatti salvi i comportamenti finora adottati dai contribuenti anteriormente all’emanazione della circolare dell’Agenzia delle entrate, sempre che l’imposta sia stata assolta, ancorché in modo irregolare.

Manuela Dolei
Antonino Iacono

Rottamazione delle cartelle: ecco come essere riammessi

I contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata, ma non hanno saldato in tutto o in parte le prime due rate, possono mettersi in regola entro il prossimo 30 novembre

 

C’è tempo fino al 30 novembre 2017 per rimettersi in regola con i pagamenti scaduti della definizione agevolata. I contribuenti che avevano già aderito alla “rottamazione delle cartelle” e che hanno saltato, o pagato parzialmente, le prime due rate (le scadenze erano fissate al 31 luglio 2017, per la prima o unica rata e al 2 ottobre 2017 per la rata successiva) potranno pagare le rate non versate senza l’aggiunta di sanzioni o ulteriori interessi. Per effettuare il pagamento è possibile utilizzare i bollettini RAV ricevuti dall’Agente della riscossione nella comunicazione di avvenuta adesione.

È questa una delle principali novità introdotte dal decreto fiscale 148/2017 (articolo 1, comma 1). In tal modo, si consente ai contribuenti interessati di rimettersi in regola e di non perdere i benefici previsti dalla rottamazione, semplicemente saldando le rate scadute previste dal piano di rateizzazione della definizione agevolata.

Si ricorda, inoltre, che il prossimo 30 novembre scade anche la terza rata del piano.

In altri termini, per effetto dello slittamento al 30 novembre della scadenza della prima e della seconda rata, i contribuenti che non avevano rispettato i termini originari non saranno più considerati “decaduti” (come inizialmente previsto dal Dl 193/2016). Nel caso in cui il contribuente abbia effettuato un pagamento parziale di una o due rate, potrà versare la differenza (saldo) entro il 30 novembre.

Con il versamento del totale complessivo delle rate scadute, e dell’eventuale terza rata, entro la scadenza di fine novembre, i contribuenti saranno considerati in regola con i pagamenti per l’anno 2017 e non dovranno compiere ulteriori adempimenti.
Resta inteso che dovranno comunque essere rispettate le altre eventuali scadenze, quarta e quinta rata, previste nel piano di rateizzazione per non perdere i benefici previsti dalla rottamazione.

Per effettuare il pagamento sono disponibili i seguenti canali:

  • sportelli bancari e uffici postali, presentando all’operatore il bollettino RAV ricevuto dall’Agente della riscossione
  • internet banking, collegandosi al sito della propria banca per utilizzare il servizio per il pagamento dei RAV (è sufficiente inserire il numero del bollettino RAV e l’importo da pagare, mentre non è obbligatorio indicare la causale)
  • sportelli bancomat (Atm) abilitati, utilizzando la propria tessera bancomat e accedendo al servizio per il pagamento dei RAV
  • tabaccai convenzionati con Banca 5 SpA, punti vendita Sisal e Lottomatica (in tal caso, il contribuente deve presentare il bollettino RAV ricevuto dall’Agente della riscossione e il rivenditore provvederà a effettuare il pagamento)
  • sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione (il contribuente non deve necessariamente presentare il bollettino RAV, ma può richiedere di pagare indicando anche solo il proprio codice fiscale. L’operatore di sportello provvederà a effettuare il pagamento)
  • sito Agenzia delle entrate-Riscossione e App Equiclick (il contribuente può pagare il bollettino RAV collegandosi alla sezione pagamenti del sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it, inserendo il proprio codice fiscale, il codice RAV e l’importo dovuto). 

Si ricorda, inoltre, che è possibile pagare i tributi indicati nelle cartelle di pagamento, utilizzando in compensazione crediti commerciali “certificati” vantati nei confronti della pubblica amministrazione (per saperne di più si rinvia all’apposita sezione del sito di Agenzia entrate-Riscossione).
Sullo stesso sito, infine, i contribuenti possono trovare utili guide sintetiche, le risposte alle domande più frequenti (Faq) e le pagine informative relative alla definizione agevolata.

Società Cooperative: costituzione e riferimenti normativi

Società Cooperative: costituzione e riferimenti normativiLe società cooperative sono uno dei tipi societari disciplinati dal codice civile italiano e sono società realizzate per gestire le imprese che si prefiggono come scopo fondamentale quello di fornire agli stessi soci quei beni o servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è nata (scopo mutualistico).

Ecco tutte le principali regole ed i principali riferimenti normativi in materia di società cooperative.

Società cooperative: i settori di operatività

Dopo aver compreso cosa siano e quale sia lo scopo delle società cooperative, passiamo ora ad analizzare i settori in cui le cooperative possono operare.

Le società cooperative operano in una molteplicità di settori ad esempio:

  • il settore del credito cooperativo attraverso l’istituto delle Banche di Credito Cooperativo (BCC). In questo caso l’obiettivo è fare una politica del credito equa verso i loro soci e clienti, discostandosi da logiche di mero guadagno. In realtà, le banche di credito cooperativo hanno assunto in Italia una operatività molto vicina a quella delle banche commerciali ordinarie, ragion per cui nel 2015 il Governo Renzi è intervenuto con un’apposita riforma;
  • il settore della produzione come avviene per le società cooperative agricole, nelle quali ciascun socio conferisce i propri prodotti alla cooperativa medesima, al fine di rivenderli;
  • il settore del lavoro in genere, in cui la cooperativa impiega direttamente il lavoro dei soci;
  • il settore delle costruzioni con le cooperative edilizie.

La definizione di società cooperative nel codice civile

La definizione giuridica delle società cooperative è fornita dagli articoli 2511 e 2512 del codice civile. Ai sensi dell’articolo 2511 del codice civile le cooperative sono definite come segue:

“Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte presso l’albo delle società cooperative di cui all’articolo 2512, secondo comma, e all’articolo 223 sexiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”

Il successivo articolo 2512 del codice civile fornisce la definizione di cooperative a mutualità prevalente ovvero:

“Sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che:
1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;
2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.
Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci”.

Le definizioni sopra riportate sono figlie della riforma del diritto societario del 2003. Attraverso il decreto legislativo 6/2003 di riforma del diritto societario, infatti, le società cooperative sono state distinte in:

  • cooperative a mutualità prevalente;
  • cooperative non a mutualità prevalente.

La riserva di agevolazioni fiscali previste dalle leggi tributarie è stata prevista solo in favore delle cooperative a mutualità prevalente.

Costituzione società cooperative: forma atto pubblico, registro imprese e numero minimo di soci

Le società cooperative possono costituirsi solo mediante atto pubblico. L’atto costitutivo stabilisce le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica e può prevedere che la società svolga la propria attività anche con terzi (articolo 2521 commi 1 e 2 del codice civile).

Dati da indicare nell’atto costitutivo delle società cooperative:

Ai sensi dell’articolo 2521 comma 3 del codice civile gli elementi identificativi da indicare nell’atto costitutivo della società cooperativa sono i seguenti:

1) il cognome e il nome o la denominazione, il luogo e la data di nascita o di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci;

2) la denominazione, e il comune ove è posta la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

3) la indicazione specifica dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti e agli interessi dei soci;

4) la quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, i versamenti eseguiti e, se il capitale è ripartito in azioni, il loro valore nominale;

5) il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura;

6) i requisiti e le condizioni per l’ammissione dei soci e il modo e il tempo in cui devono essere eseguiti i conferimenti;

7) le condizioni per l’eventuale recesso o per la esclusione dei soci;

8) le regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni;

9) le forme di convocazione dell’assemblea, in quanto si deroga alle disposizioni di legge;

10) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società;

11) il numero dei componenti del collegio sindacale;

12) la nomina dei primi amministratori e sindaci;

13) l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico delle società.

Numero minimo soci società cooperativa

Il numero minimo di soci con il quale una società cooperativa può costituirsi è di 9 unità secondo quanto dispone in materia l’articolo 2522 del codice civile, rubricato proprio “Numero dei soci”:
“Per costituire una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove.

Può essere costituita una società cooperativa da almeno tre soci quando i medesimi sono persone fisiche e la società adotta le norme della società a responsabilità limitata; nel caso di attività agricola possono essere soci anche le società semplici.

Se successivamente alla costituzione il numero dei soci diviene inferiore a quello stabilito nei precedenti commi, esso deve essere integrato nel termine massimo di un anno, trascorso il quale la società si scioglie e deve essere posta in liquidazione.

La legge determina il numero minimo di soci necessario per la costituzione di particolari categorie di cooperative”.

Iscrizione al registro delle imprese delle società cooperative

Secondo quanto disposto dall’articolo 2523 del codice civile “il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo deve depositarlo entro venti giorni presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a norma dell’articolo 2330. Gli effetti dell’iscrizione e della nullità sono regolati rispettivamente dagli articoli 2331 e 2332”.

 

Nuovi adempimenti contabili per le imprese in contabilità semplificata: i registri IVA “integrati”

La legge di Bilancio 2017 è intervenuta in modo sostanziale nei confronti delle imprese in contabilità semplificata, le quali dal periodo d’imposta 2017 determinano il reddito secondo un criterio “improntato alla cassa”, così come previsto dall’art. 66 del TUIR.

Le profonde modifiche introdotte hanno richiesto la contestuale revisione delle disposizioni riguardanti gli adempimenti contabili obbligatori, disciplinati dal riformulato art. 18 del D.P.R. 600/1973.

Tra le tre possibili alternative previste per l’assolvimento degli obblighi contabili dal “nuovo” art. 18, le cui caratteristiche sono state approfondite nella Circolare 11/E del 13 aprile 2017 (tenuta del registro degli incassi e pagamenti in aggiunta ai registri IVA, dei soli registri IVA “integrati”, dei registri IVA senza indicazione dei mancati incassi e pagamenti – criterio della c.d. “Registrazione”) di seguito verrà analizzato il metodo dei registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti, previsto dal comma 4 dell’art. 18 del D.P.R. 633/1972.

Il suddetto comma 4 prevede, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti, l’istituzione dei registri IVA “integrati”, consentendo di utilizzare i soli registri Iva (con sparata annotazione delle operazioni non soggette ad IVA) “integrandoli” con l’indicazione cronologica degli incassi e dei pagamenti o, in alternativa, riportando a fine esercizio i mancati incassi e pagamenti.

Registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti

Il metodo utilizza i soli registri IVA: nel caso in cui l’incasso o il pagamento del documento non sia avvenuto nell’anno di registrazione, sarà necessario dare evidenza, al termine di ciascun periodo d’imposta, dell’importo totale dei mancati incassati/pagati, dettagliando gli estremi dei documenti cui si riferiscono.

Tutte le operazioni annotate nei registri saranno quindi di conseguenza considerate incassate e pagate, eccezion fatta per quelle riportate nell’elenco dei “sospesi” che concorreranno alla determinazione del reddito nel periodo in cui avverrà la manifestazione finanziaria.

Nel periodo d’imposta dell’incasso/pagamento, si dovrà poi annotare separatamente, entro 60 giorni dall’evento, l’importo dei ricavi e dei costi incassati/pagati nell’anno e riferiti a documenti contabili registrati in periodi precedenti, richiamando gli estremi del relativo documento (si ritiene debbano essere riportate le generalità del cliente/fornitore, numero e data del documento di riferimento, importo del costo/ricavo).

Fermo restando il rispetto dei termini di registrazione previsti dalla normativa IVA (art. 23 e ss. del D.P.R. 633/1972), la Circolare 11/E precisa i termini di registrazione delle operazioni ai fini della determinazione del reddito:

fatture-acquisto

Ad esempio, supponiamo che un’impresa adotti nel corso del 2017 il metodo dei registri Iva “integrati”.

Nel corso del periodo d’imposta non sono state incassate/pagate due fatture annotate nei registri IVA vendite/acquisti.

Alla fine della determinazione del reddito secondo il criterio di “cassa” nei registri IVA dovrà essere riportato rispettivamente:

  • il totale dei mancati incassi dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti attivi, registrati nel periodo e non incassati (o parzialmente non incassati) nel corso del periodo d’imposta;
  • il totale dei mancati pagamenti dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti passivi, registrati nel periodo e non pagati (o parzialmente non pagati) nel corso del periodo d’imposta.

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti

Supponendo che nel corso del primo trimestre del 2018 l’impresa incassi e paghi le precedenti fatture, sarà necessario annotare separatamente nei registri IVA, entro 60 giorni, il relativo incasso e pagamento nei registri IVA, in tal caso:

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite-2

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti-2

L’applicazione di tale metodo risulta particolarmente complessa per i soggetti che applicano i regimi speciali IVA del margine per la vendita di beni usati, oggetti d’arte, antiquariato o da collezione e le agenzie di viaggio, i quali determinano l’IVA in un momento successivo a quello di emissione del documento.

La Circolare 11/E citata precisa che nel caso in cui per tali soggetti risulti impossibile determinare l’ammontare dei mancati incassi e pagamenti al netto dell’IVA, si dovrà optare per il metodo della c.d “Registrazione” prevista dal comma 5 dell’art. 18, secondo cui per le operazioni rilevanti ai fini IVA la data di registrazione coincide con il suo incasso/pagamento.

Silena Stival – Centro Studi CGN

Il coniuge cointestatario del mutuo per ristrutturazione detrae il 100%

Alla morte della moglie, il marito che abbia provveduto ad accollarsi interamente il finanziamento può fruire del beneficio sull’intero ammontare degli interessi passivi sostenuti

Il coniuge superstite può usufruire della detrazione degli interessi passivi e relativi oneri accessori sul mutuo ipotecario contratto per la ristrutturazione dell’abitazione principale, di cui è contitolare insieme al coniuge deceduto, a condizione che provveda alla regolarizzazione dell’accollo del mutuo.
Lo chiarisce la risoluzione 129/E del 18 ottobre 2017, che, per motivi di coerenza e sistematicità, si allinea al principio già esposto con riferimento ai contratti di mutuo stipulati per l’acquisto dell’abitazione principale.

L’interpello
Un contribuente, che ha contratto insieme al coniuge un mutuo ipotecario per ristrutturare la propria abitazione, chiede all’Agenzia se, in seguito alla morte del coniuge cointestatario del finanziamento, accollandosi il mutuo per intero, possa usufruire della detrazione del 19% dell’intera quota degli interessi passivi, analogamente a quanto accade con riferimento ai contratti di mutuo stipulati per l’acquisto dell’abitazione principale.

Il parere dell’Agenzia
Nell’articolare la risposta all’istanza di interpello, l’Agenzia prende avvio da una sintetica ricostruzione della disciplina in materia di detrazione degli interessi passivi sostenuti in relazione a contratti di mutuo ipotecario stipulati per la costruzione dell’abitazione principale (articolo 15, comma 1-ter, Tuir).

A tal proposito, la risoluzione ricorda che il legislatore ammette la detrazione a condizione che:

  • l’unità immobiliare da costruire  sia quella nella quale il contribuente (o i suoi familiari) intendono dimorare abitualmente
  • l’immobile diventi abitazione principale entro sei mesi dal termine dei lavori di costruzione
  • il contratto di mutuo sia stipulato dal soggetto che avrà il possesso dell’unità immobiliare a titolo di proprietà o di altro diritto reale
  • i lavori di costruzione siano ultimati entro il termine previsto dal titolo abilitativo, salvo possibilità di proroga
  • il mutuo sia stipulato nei sei mesi antecedenti all’inizio dei lavori ovvero nei diciotto mesi successivi. 

Al ricorrere di tali condizioni è riconosciuta la detraibilità degli interessi passivi – e relativi oneri accessori – derivanti da contratti di mutuo ipotecario stipulati per la costruzione dell’abitazione principale, nella misura del 19% per un ammontare complessivo non superiore a 2.582,28 euro.
La risoluzione, inoltre, ricorda che le condizioni e le modalità applicative sono indicate nel Dm 30 luglio 1999, il quale, all’articolo 1, comma 1, dispone che: “(…) per costruzione di unità immobiliare si intendono tutti gli interventi realizzati in conformità al provvedimento di abilitazione comunale che autorizzi una nuova costruzione, ivi compresi quelli di cui all’art. 31, comma primo, lettera d), della Legge 5 agosto 1978, n. 457 [ora trasfuso nell’articolo 3 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con Dpr 380/2001]” ovvero gli interventi di ristrutturazione edilizia.

Il documento di prassi precisa, inoltre, che la detrazione in esame, in caso di ristrutturazione edilizia, compete in presenza di un provvedimento di abilitazione comunale nel quale sia indicato specificatamente che i lavori eseguiti rientrano nell’ambito di quelli previsti dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del Dpr 380/2001. In carenza di ciò, la detrazione spetta solo se il contribuente è in possesso di un’analoga sottoscrizione del responsabile del competente ufficio comunale.

Per quanto riguarda la destinazione del mutuo ipotecario per il finanziamento della costruzione o della ristrutturazione dell’abitazione principale, analogamente a quanto avviene nell’ipotesi di mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale, l’Agenzia, con la risoluzione 241/2007, confermata poi con la circolare 7/2017, aveva già chiarito che la destinazione del mutuo deve risultare dal contratto stesso o, in mancanza, dalla dichiarazione resa dalla banca o, altrimenti, da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del contribuente, ai sensi dell’articolo 47 del Dpr 445/2000.

Ciò detto, avendo l’istante, a seguito della morte della moglie, provveduto alla voltura del finanziamento a suo nome, ha diritto di portare in detrazione dall’imposta lorda il 19% dell’intera quota di interessi passivi, così come accade in caso di morte di un mutuatario contitolare di un contratto di acquisto dell’abitazione principale. In proposito, infatti, anche la circolare 122/1999, punto 1.2.1, ha chiarito che il coniuge superstite può usufruire della detrazione per gli interessi passivi e oneri accessori relativi al mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’abitazione principale, di cui è contitolare insieme al coniuge deceduto, a condizione che provveda a regolarizzare l’accollo del mutuo.

Nel caso di specie, quindi, l’Agenzia, per motivi di coerenza e sistematicità, applica lo stesso principio e, quindi, si allinea alla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.
Con la risoluzione in esame, infatti, l’amministrazione afferma che l’istante, in qualità di coniuge superstite cointestatario – insieme alla moglie – del mutuo ipotecario stipulato per la ristrutturazione della propria abitazione, avendo provveduto ad accollarsi l’intero mutuo, potrà usufruire della detrazione sul 100% dei relativi interessi passivi sostenuti. Resta inteso che il beneficio è consentito ove ricorrano tutte le altre condizioni richieste dalla norma agevolativa. 

Agevolazioni prima casa all’erede sull’immobile già in comproprietà

Non risulta preclusivo il fatto che prima del decesso del marito, la moglie ne avesse il possesso in comunione con il de cuius, in quanto con la morte tale regime si estingue

Nel caso in cui per effetto della successione, il coniuge quale unico erede diviene pieno proprietario di più immobili, siti nello stesso comune, in precedenza posseduti in comproprietà con il coniuge deceduto, può fruire dell’agevolazione ‘prima casa’, ai sensi dell’articolo 69, comma 3, della legge 342/2000, in relazione all’acquisto di uno dei predetti immobili. Non risulta preclusiva alla fruizione dell’agevolazione la circostanza che prima del decesso del coniuge, il contribuente possedesse detti immobili in comproprietà con il de cuius, in quanto con la morte il regime della comunione viene meno.

Questo il chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 126/E del 17 ottobre 2017, in risposta a un interpello proposto da un contribuente riguardo all’applicazione dell’agevolazione ‘prima casa’ per le quote di uno degli immobili caduti in successione alla morte del coniuge.
In particolare, la fattispecie riguarda un unico erede testamentario che possedeva in comunione con il coniuge tre immobili abitativi siti nello stesso comune.
Per effetto della successione, la quota parte dei predetti immobili appartenenti al coniuge defunto venivano devolute all’erede istante, il quale non aveva mai fruito delle agevolazioni ‘prima casa’.

L’Agenzia, in via preliminare, richiama le disposizioni contenute nell’articolo 69, della legge 342/2000, che prevede, al comma 3, l’applicazione in misura fissa delle imposte ipotecaria e catastale per i trasferimenti della proprietà di case di abitazione ‘non di lusso’ e per la costituzione e il trasferimento di diritti immobiliari relativi alle stesse, derivanti da successioni e donazioni.
Dette imposte fisse si applicano quando in capo al beneficiario, ovvero in caso di pluralità di beneficiari in capo ad almeno uno di essi, sussistano i requisiti e le condizioni previste in materia di acquisto della prima abitazione dall’articolo 1, comma 1, della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro (legge 131/1986).
Il rinvio effettuato dal comma 3 alle case di abitazioni ‘non di lusso ’, precisa l’Agenzia, deve essere inteso – dopo le modifiche normative apportate dall’articolo 10, Dlgs 23/2011, all’articolo 1 della tariffa, parte prima del Tur – riferito alle case di abitazione diverse da quelle appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (cfr circolare 2/2014).

Ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 69, le dichiarazioni di cui alla nota II-bis dell’articolo 1 della tariffa, parte prima, sono rese dall’interessato nella dichiarazione di successione o nell’atto di donazione.
L’Agenzia ricorda quanto già chiarito con circolare 207/2000, ovvero che l’interessato, per poter beneficiare dell’agevolazione, deve rendere la dichiarazione della sussistenza delle seguenti condizioni:

  • di avere la residenza nel territorio del comune ove è ubicato l’immobile da acquistare o di volerla stabilire entro diciotto mesi dall’acquisto
  • di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare
  • di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni.

La sussistenza in capo al beneficiario di tutte le condizioni sopra richiamate deve riferirsi al momento del trasferimento, che si realizza con l’apertura della successione.

Dunque, nella fattispecie in cui, per effetto della successione, l’erede diviene pieno proprietario di tre immobili siti nello stesso comune, in precedenza posseduti in comunione con il coniuge defunto, lo stesso può chiedere l’applicazione delle agevolazioni ‘prima casa’, ai sensi del citato articolo 69, consistenti nell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa, in relazione all’acquisto di uno dei tre immobili.
A parere dell’Agenzia delle entrate non risulta preclusiva alla fruizione dell’agevolazione in parola, la circostanza che, prima del decesso, l’erede possedesse detti immobili in comunione con il coniuge, in quanto con la morte del de cuius viene meno il  regime di comunione.
Come affermato dalla Corte di cassazione, infatti, la morte del coniuge determina lo scioglimento del matrimonio, ovvero il verificarsi di una causa di scioglimento della comunione (cfr sentenza, 13760/2015).
Cessato, dunque, il regime di comunione sugli immobili per effetto della morte del coniuge, il contribuente si trova nelle condizioni di poter dichiarare di non essere titolare in comunione con il coniuge di diritti sui predetti immobili.

Non appare preclusiva neanche la circostanza che, per effetto della successione, il contribuente divenga proprietario esclusivo di detti immobili, in quanto la dichiarazione da rendere deve essere riferita a immobili diversi da quelli che, proprio per successione, vengono acquistati.
In sostanza, la dichiarazione non deve tenere conto di quei beni o quote degli stessi che vengono acquistati con la successione.
Ferma restando la sussistenza delle condizioni previste dalla citata nota II-bis, l’erede unico può, dunque, invocare le agevolazioni ‘prima casa’.
Tuttavia, precisa l’Agenzia, l’agevolazione può essere richiesta solo per l’acquisto di uno degli immobili caduti in successione, come a suo tempo precisato con la circolare 44/2001.
Sulle rimanenti unità immobiliari, pervenute con la stessa successione, devono, quindi, essere corrisposte le imposte ipotecaria e catastale nella ordinaria  misura proporzionale. 

E-fattura: da luglio 2018 debutto per carburanti, nel 2019 estesa a tutti

La manovra 2018 traduce in realtà l’obbligo di fattura elettronica nelle operazioni tra privati. Un obbligo che, però, sarà articolato in due tempi. Si comincerà dal 1° luglio 2018 per cessioni di benzina o gasolio per motori e per le prestazioni di subappaltatori nel quadro di un contratto di appalti pubblici. Poi dal 1° gennaio 2019 l’obbligo sarà esteso a tutte le operazioni business to business (le cosiddette B2B) e viaggerà attraverso il sistema di interscambio (lo Sdi), lo stesso canale in cui sono già transitate le fatture elettroniche verso la Pa e di recente i dati delle comunicazioni delle liquidazioni Iva e quelli per lo spesometro. E in questo caso non sono mancati problemi, come più volte sottolineato nelle ultime settimane.

La filiera dei carburanti 

Partire dalla filiera dei carburanti ha un significato e un obiettivo strategico ridurre le frodi Iva che penalizzano le imprese che operano correttamente. Frodi che scaturiscono sia dall’utilizzo di lettere d’intento false che dai depositi Iva. Qualche esempio? Il prodotto parte da un deposito fiscale (conosciuto e ben identificato) ed è destinato a un altro deposito commerciale o a una pompa di benzina. Ma tra il mittente e destinatario si interpongono una serie di soggetti non tracciati che effettuano la frode (acquisto senza Iva, fattura con Iva al cliente, non versamento dell’imposta e scomparsa dell’impresa interposta). Da qui l’esigenza di una totale tracciabilità di tutti i passaggi che la fattura elettronica potrebbe contribuire a garantire.

L’estensione a tutti gli altri operatori 

Dal 2019 la fattura elettronica diventerebbe obbligatoria per tutte le operazioni B2B. Per poter allargare la fattura elettronica a tutte le operazioni commerciali tra operatori economici, l’Italia è passata da una richiesta alla Commissione europea che le consentisse di derogare al divieto comunitario all’obbligatorietà. Una delle motivazioni a sostegno è rappresentato dall’alto divario misurato con il tax gap, ossia la differenza tra l’Iva teoricamente dovuta e quella poi effettivamente riconosciuta all’Erario. Un divario “certificato” anche dall’ultimo rapporto sull’evasione Iva di Bruxelles, per il quale il gap dell’Italia è stato di 35 miliardi di euro nel 2015, ossia il più alto di tutta l’Unione in valore assoluto.

Rinuncia indennità di fine mandato, rilevante la qualifica di “socio”

Se l’amministratore è interno alla Srl, il compenso accantonato non è tassabile in quanto la mancata fruizione è finalizzata a incrementare il patrimonio della partecipata

Il regime fiscale applicabile alla rinuncia al trattamento di fine mandato (Tfm) da parte di quattro amministratori di una Srl, due soci e due “estranei”. Di questo si è occupata la risoluzione n. 124/E del 13 ottobre 2017, spiegando che le modalità di tassazione sono differenti a secondo che si tratti di soci o di soggetti esterni alla compagine sociale.

L’Agenzia delle entrate, ricorda in via generale che il comma 4-bis dell’articolo 88 del Tuir, inserito dal decreto internazionalizzazione, prevede che “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero”. In assenza di tale comunicazione, quindi, il debitore è tenuto ad assoggettare a tassazione tutta la sopravvenienza attiva.
L’eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

L’irrilevanza fiscale della rinuncia e della relativa sopravvenienza attiva, rileva la risoluzione, è dovuta alla volontà del socio di incrementare il patrimonio della società partecipata.
Con riferimento al la risoluzione in esame, l’Agenzia chiarisce che, nel caso di rinuncia al trattamento di fine mandato operata da amministratori soci, la società non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva (articolo 88, comma 4-bis del Tuir), non essendo ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale. Allo stesso modo, non è richiesta la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia, non potendo verificarsi, in assenza di un’attività di impresa, quelle distorsioni che il legislatore ha inteso scongiurare attraverso l’introduzione del citato comma 4-bis.

Se la rinuncia al Tfm riguarda amministratori esterni alla società, invece, mancando la qualifica di socio, troverà applicazione l’articolo 88, comma 1, del Tuir, con la conseguenza che la società dovrà tassare una sopravvenienza attiva nei limiti delle quote di trattamento di fine mandato accantonate e dedotte.

La risoluzione precisa, infine, che, in capo agli amministratori soci, i crediti rinunciati, avendo patrimonializzato la società, dovranno essere tassati in virtù dell’incasso giuridico. Gli amministratori non soci, invece, non avendo conseguito nessuna contropartita non saranno assoggettati a imposizione fiscale.

INAIL | Rivalutazione del minimale e del massimale di rendita con decorrenza 1° luglio 2017 – Limiti di retribuzione imponibile per il calcolo dei premi assicurativi.

Circolare n. 44 del 13 ottobre 2017

Il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 19 luglio 2017 ha confermato, con decorrenza 1° luglio 2017, gli importi del minimale e del massimale di rendita vigenti già dal 1° luglio 2016 pari a euro 16.195,20 e a euro 30.076,80, di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2016.

Si confermano, pertanto, i limiti di retribuzione imponibile ai fini del calcolo del premio assicurativo che variano secondo la rivalutazione delle rendite erogate dall’Inail, riportati nelle circolari 11 ottobre 2016, n. 36 e 18 aprile 2017, n. 17.

Regime delle locazioni brevi: arriva la circolare esplicativa

Dall’Agenzia delle entrate arrivano i chiarimenti interpretativi sul regime fiscale delle locazioni brevi, introdotto dal “decreto conti pubblici” (cfr articolo 4, Dl 50/2017).
Con la circolare 24/E del 12 ottobre 2017, infatti, l’amministrazione illustra il contenuto della nuova disciplina alla luce delle questioni emerse nel corso del confronto avuto negli ultimi mesi con le associazioni di categoria e i principali operatori del settore.
L’Agenzia sottolinea, peraltro, che le indicazioni contenute nel documento di prassi riguardano solo l’applicazione dei tributi rientranti nella sua competenza, quindi non anche l’imposta di soggiorno.

Contratto di locazione breve: definizione
La circolare prende avvio dalla definizione di contratti di locazione breve allo scopo di delimitare l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni.
Sono tali i contratti di locazione di immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa. A questi ultimi sono equiparati i contratti di sublocazione e quelli di concessione in godimento dell’immobile stipulati dal comodatario, aventi medesima durata.
Rientrano nel campo applicativo della disciplina in esame sia i contratti stipulati direttamente tra locatore e conduttore sia quelli stipulati con l’intervento di soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online.
Dalla definizione appena riporta si evince che si tratta di figure contrattuali tese a soddisfare “esigenze abitative transitorie, anche per finalità turistiche”.

Il legislatore ha espressamente previsto che il contratto non deve essere concluso nell’esercizio di un’attività commerciale (la condizione riguarda entrambe le parti del rapporto). Pertanto, dall’ambito di applicazione del nuovo regime sono escluse le locazioni brevi stipulate nell’esercizio di un’attività organizzata in forma d’impresa.
L’applicazione della nuova disciplina, inoltre, è esclusa anche nel caso di attività commerciale non esercitata abitualmente, i cui redditi sono compresi tra i redditi occasionali (ex articolo 67, comma 1, lett. i, Tuir).

Come già anticipato, la nuova disciplina si applica anche ai contratti di sublocazione e a quelli stipulati dal comodatario che concede a terzi la disponibilità dell’immobile a titolo oneroso. Il legislatore, quindi, ha delineato l’ambito applicativo in base alla causa del contratto e non in base al diritto che ha sull’immobile colui che lo mette a disposizione.

I contratti in esame devono avere a oggetto immobili aventi destinazione residenziale situati in Italia (categorie catastali da A1 a A11, esclusa A10) e le relative pertinenze (box, posti auto, cantine, soffitte, ecc.) nonché singole stanze dell’abitazione.
Oltre alla messa a disposizione dell’abitazione, il contratto può avere a oggetto la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali (servizi strettamente funzionali alle esigenze abitative di breve periodo).
Sul punto la circolare precisa che tra i servizi rilevanti ai fini dell’applicazione del nuovo regime devono essere inclusi anche altri servizi come, ad esempio, la fornitura di utenze, wi-fi, aria condizionata.

Al contrario, la disciplina in esame non è applicabile se, insieme alla messa a disposizione dell’abitazione, sono forniti servizi aggiuntivi che non presentano una necessaria connessione con la finalità residenziale dell’immobile, quali, ad esempio, la fornitura della colazione, la somministrazione di pasti, la messa a disposizione di auto a noleggio o di guide turistiche o di interpreti, essendo in tal caso richiesto un livello seppur minimo di organizzazione, non compatibile con il semplice contratto di locazione, come nel caso della attività di bed and breakfast occasionale.

La locazione breve non deve avere una durata superiore a 30 giorni. Il termine deve essere considerato in relazione a ogni contratto. Quindi, se nel corso dello stesso anno tra le stesse parti vengono stipulate più locazioni brevi, il termine va riferito a ogni singolo contratto.
In ogni caso, se la durata delle locazioni che in un anno intervengono tra le medesime parti è complessivamente superiore a 30 giorni, è necessario provvedere alla registrazione del contratto.

Gli adempimenti a carico degli intermediari
Nell’ambito della nuova normativa, un ruolo significativo viene attribuito a coloro che agiscono da intermediari (sia essi residenti o non residenti) per la conclusione del contratto di locazione breve o che intervengono nel pagamento del corrispettivo.
Peraltro, sono coinvolti anche coloro che, attraverso la gestione di portali online, mettono in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che hanno unità immobiliari da locare.
Ne deriva che la nozione di intermediario rilevante per l’applicazione del regime è molto ampia. Sono, quindi, tenuti al rispetto degli obblighi introdotti dalla disciplina in esame sia coloro che esercitano la professione di mediatore (cfr legge 39/1989) sia tutti coloro attraverso i quali vengono stipulati contratti di locazione breve come, ad esempio, quei soggetti che, in via abituale anche se non esclusiva, offrono strumenti tecnici e informatici per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di locazioni brevi e, pertanto, intervengono nella conclusione del contratto tra locatore e conduttore.
Sono interessati sia gli intermediari che operano in forma individuale sia quelli che agiscono in forma associata, che agiscono per la conclusione di contratti di locazione breve stipulati online o offline.

In relazione ai contratti di locazione breve stipulati a partire dal 1° giugno 2017, gli intermediari devono effettuare i seguenti adempimenti (allo scopo di facilitare l’assoggettamento a tassazione dei redditi prodotti dal locatore persona fisica):

  • se intervengono nella stipula, devono comunicare i dati relativi ai contratti (si ricorda che i dati da trasmettere sono stati individuati con il provvedimento 12 luglio 2017 – vedi “Locazioni brevi: modalità operative per comunicare i dati dei contratti”) e conservare gli elementi posti a base delle informazioni comunicate
  • se incassano o intervengono nel pagamento del canone di locazione o dei corrispettivi lordi, devono operare una ritenuta nella misura del 21% sul relativo ammontare, provvedendo al versamento e alla relativa certificazione, nonché a conservare i dati dei pagamenti o dei corrispettivi.

Tali adempimenti non devono essere eseguiti per i contratti di locazione breve rispetto ai quali le trattative si sono concluse prima del 1° giugno 2017, anche se il pagamento del corrispettivo o la data di utilizzo dell’immobile sono successivi.
Inoltre, per i contratti di locazione breve stipulati attraverso intermediari è rilevante il momento in cui il conduttore ha ricevuto conferma della prenotazione.

La circolare ricorda che, come previsto dal provvedimento dello scorso luglio, gli intermediari assolvono gli adempimenti sulla base dei dati comunicati dal locatore. Pertanto, essi sono tenuti a richiedere i dati, ma non a verificarne l’autenticità. La responsabilità circa la veridicità dei dati, quindi, ricade sul locatore il quale è comunque responsabile della corretta tassazione del reddito e del corretto adempimento di altri eventuali obblighi tributari connessi al contratto nonché della mendacità delle proprie dichiarazioni.

Tuttavia, gli intermediari potranno tener conto anche di altre informazioni in loro possesso, rilevanti ai fini fiscali. Essi, ad esempio, potranno non effettuare gli adempimenti, ritenendo che la locazione sia riconducibile all’esercizio di una attività d’impresa, qualora il locatore abbia comunicato loro il numero di partita Iva per la compilazione della fattura relativa alla prestazione di intermediazione.

La comunicazione dei dati e la effettuazione della ritenuta devono essere eseguiti anche nel caso in cui l’intermediario si avvalga a sua volta di altri intermediari. È il caso, ad esempio, dell’agenzia immobiliare che, dopo aver ricevuto dal proprietario dell’immobile l’incarico di locarlo, inserisce l’offerta di locazione su una piattaforma online. Se il contratto viene concluso tramite quest’ultima, l’agenzia è tenuta a comunicare i relativi dati. In tal caso, inoltre, l’agenzia sarà tenuta a operare la ritenuta se interviene nel pagamento del contratto. Sarà cura dell’agenzia, quindi, rendere esplicito al gestore della piattaforma la veste nella quale opera, in modo che questi non effettui gli adempimenti.

Trasmissione dei dati
Come detto, i dati che gli intermediari devono trasmettere, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto, sono stati individuati dal provvedimento del 12 luglio: nome, cognome e codice fiscale del locatore, durata del contratto, importo del corrispettivo lordo e indirizzo dell’immobile.
La trasmissione deve avvenire attraverso i servizi dell’Agenzia delle entrate in conformità alle specifiche tecniche che saranno successivamente pubblicate.
Per il 2017, la comunicazione deve riguardare i soli contratti conclusi a partire dal 1° giugno.

La circolare precisa che sono tenuti alla trasmissione dei dati solo gli intermediari che, oltre a favorire l’incontro tra domanda e offerta di abitazione, forniscono anche un supporto professionale o tecnico informatico nella fase del perfezionamento dell’accordo.
L’obbligo di comunicazione, quindi, sussiste se il conduttore ha accettato la proposta di locazione tramite l’intermediario o aderendo all’offerta di locazione tramite la piattaforma online.
Al contrario, nel caso in cui il locatore si avvalga dell’intermediario solo per proporre l’immobile in locazione, ma il conduttore comunichi direttamente al locatore l’accettazione della proposta, l’intermediario non è tenuto a comunicare i dati in quanto ha solo contribuito a mettere in contatto le parti, rimanendo estraneo alla conclusione dell’accordo.

In caso di recesso dal contratto di locazione breve, gli intermediari non sono tenuti a trasmettere i dati. Se il recesso interviene dopo la trasmissione, l’intermediario dovrà rettificare la comunicazione, utilizzando le modalità informatiche predisposte dall’Agenzia.

Infine, la circolare ricorda che l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati è punita con la sanzione da 250 a 2mila euro, ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i 15 giorni successivi alla scadenza ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati.
Non è sanzionabile l’incompleta o errata comunicazione dei dati del contratto se causata dal comportamento del locatore.

Applicazione della ritenuta
Gli intermediari tenuti a operare la ritenuta sono quelli che intervengono nel pagamento o nella riscossione del canone.
La circolare precisa che l’obbligo scatta in tutte le ipotesi in cui l’intermediario interviene nella fase in cui è assolta l’obbligazione pecuniaria prevista dal contratto, partecipando al pagamento del corrispettivo da parte del conduttore e/o alla riscossione da parte del locatore.
In ogni caso, la materiale disposizione delle risorse finanziarie impone all’intermediario di effettuare su tali somme il prelievo del 21% a titolo di ritenuta da versare all’erario.
Sulla base di tale assunto di carattere generale, l’Agenzia chiarisce che:

  • in caso di pagamento mediante assegno bancario intestato al locatore, l’intermediario, non avendo la materiale disponibilità delle risorse finanziarie su cui operare la ritenuta, non è tenuto a tale adempimento, anche se l’assegno è consegnato al locatore per il suo tramite
  • in caso di pagamento del canone mediante carte di pagamento (carte di credito, di debito, prepagate) gli intermediari autorizzati (banche, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, Poste Italiane s.p.a.), nonché le società che offrono servizi di pagamento digitale e di trasferimento di denaro in internet (ad esempio, PayPal), non svolgendo attività di intermediazione, non sono tenuti a operare la ritenuta che deve eventualmente essere effettuata dall’intermediario che incassa il canone o interviene nel pagamento. 

Nel caso in cui l’intermediario abbia delegato un terzo all’incasso del canone e all’accredito del relativo importo al locatore, scatta comunque l’obbligo di operare la ritenuta e di effettuare gli adempimenti di versamento e di certificazione della ritenuta, nonché di comunicazione dei dati relativi al contratto.

La ritenuta del 21% deve essere applicata sull’importo del canone o corrispettivo lordo indicato nel contratto di locazione breve.
Eventuali penali o caparre o depositi cauzionali, invece, non devono essere assoggettati a ritenuta.
Nel corrispettivo lordo sono incluse anche le somme eventualmente addebitate a titolo forfettario per la fornitura di prestazioni accessorie.
Le spese per i servizi accessori non concorrono al corrispettivo lordo solo quando sono sostenute direttamente dal conduttore o sono a lui riaddebitate dal locatore sulla base dei costi e dei consumi effettivamente sostenuti.

Ci si è posti il dubbio circa l’inclusione o meno nel corrispettivo lordo della provvigione dovuta all’intermediario.
Sulla questione la circolare precisa che la provvigione:

  • non risulta compresa nel corrispettivo lordo quando è addebitata direttamente dall’intermediario al conduttore e quando l’intermediario la addebita direttamente al locatore, il quale non la ribalta sul conduttore
  • concorre, invece, alla determinazione del corrispettivo lordo da assoggettare a ritenuta se è trattenuta dall’intermediario sul canone dovuto al locatore in base al contratto. 

Da tali considerazioni è possibile trarre la regola generale secondo cui “l’intermediario opera la ritenuta sull’intero importo indicato nel contratto di locazione breve che il conduttore è tenuto a versare al locatore”.

Con riferimento all’applicazione della ritenuta, la circolare ricorda che:

  • deve essere versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è operata
  • gli intermediari sono tenuti a certificare e a dichiarare le ritenute operate
  • mediante la certificazione, gli intermediari che operano la ritenuta assolvono anche l’obbligo di comunicazione dei dati e non sono, pertanto, tenuti all’ulteriore trasmissione degli stessi
  • nel caso di recesso dal contratto, la ritenuta, se eventualmente già operata dall’intermediario, versata e certificata, è recuperata dal locatore in sede di dichiarazione dei redditi o chiesta a rimborso mentre, invece, potrà essere restituita al locatore e recuperata dall’intermediario in compensazione se la disdetta del contratto è antecedente alla certificazione
  • con la risoluzione n. 88/E del 5 luglio 2017 sono stati istituiti il codice tributo “1919”, da utilizzare per il versamento della ritenuta tramite modello F24, e codici “1628” e “6782” da utilizzare per recuperare eventuali eccedenze di versamento (vedi “Locazioni brevi: il codice tributo per versare la ritenuta sui canoni”)
  • la mancata applicazione della ritenuta da parte dell’intermediario è punita con una sanzione amministrativa pari al 20% dell’ammontare non trattenuto, ferma restando la possibilità di ricorre al ravvedimento operoso. 

La ritenuta deve essere applicata ai canoni di locazione e ai corrispettivi derivanti da contratti stipulati a partire dal 1° giugno 2017, con il conseguente obbligo di versamento entro il 16 del mese successivo.
Sul punto, però, la circolare precisa che l’amministrazione finanziaria potrà tener conto delle difficoltà di natura gestionale che gli operatori possono aver incontrato nella effettuazione degli adempimenti relativi alle ritenute, anche alla luce della circostanza che, in attesa della conversione in legge del Dl 50/2017, il provvedimento è stato emanato il 12 luglio 2017.
Pertanto, si potrà escludere l’applicazione delle sanzioni per l’omessa effettuazione delle ritenute fino all’11 settembre 2017.
Tuttavia, gli intermediari saranno comunque sanzionabili per le omesse o incomplete ritenute da effettuare a partire dal 12 settembre 2017 e da versare entro il 16 ottobre 2017.
Per gli intermediari che hanno applicato la ritenuta, pur in assenza del provvedimento, resta fermo l’obbligo di effettuare il versamento entro il 16 del mese successivo.
Altresì, resta in ogni caso fermo l’obbligo di comunicazione dei dati dei contratti stipulati a partire dal 1° giugno 2017 in quanto l’adempimento deve essere eseguito nel 2018, con un ampio margine di tempo, quindi, a disposizione degli intermediari.

Conservazione dei dati
Il terzo adempimento in capo agli intermediari che intervengono nella stipula del contratto e/o nell’incasso dei canoni o corrispettivi è la conservazione degli elementi posti a base delle informazioni da comunicare e dei dati dei pagamenti in cui sono intervenuti o dei corrispettivi incassati.
Tali dati devono essere conservati per il periodo previsto per la notifica degli avvisi di accertamento, quindi fino al 31 dicembre del quinto anno successivo (cfr articolo 43, Dpr 600/1973).

Intermediari non residenti
Si è già detto che gli adempimenti sopra descritti devono essere effettuati da tutti gli intermediari, compresi quelli fiscalmente non residenti in Italia.
A tal proposito, la circolare, richiamando il provvedimento del 12 luglio, ricorda che gli intermediari non residenti:

  • se sono in possesso di una stabile organizzazione in Italia, adempiono gli obblighi di comunicazione per il tramite della stessa
  • se, invece, sono privi di stabile organizzazione, si avvalgono di un rappresentante fiscale, in qualità di responsabile d’imposta (da individuare tra i soggetti indicati dall’articolo 23, Dpr 600/1973), che provvede anche alla richiesta di attribuzione del codice fiscale dei soggetti rappresentati qualora non ne siano in possesso. 

Regime fiscale: base imponibile
Per espressa previsione normativa, il reddito derivante dai contratti di locazione breve può essere assoggettato, su opzione del locatore, al regime della cedolare secca.
Sul punto, la circolare ricorda che il regime dell’imposta sostitutiva era già applicabile ai redditi fondiari derivanti dalle locazioni anche di breve durata. La novità, quindi, consiste nel fatto che lo stesso risulta ora esteso ai redditi diversi derivanti dai contratti di sublocazione e ai contratti stipulati dal comodatario per la concessione a terzi del godimento dell’immobile abitativo.

Per quanto riguarda la sublocazione, l’applicazione della cedolare secca non modifica la qualificazione reddituale dei proventi derivanti da tale contratto.

Per quanto concerne, invece, la concessone in godimento dell’immobile da parte del comodatario, la circolare chiarisce che, per effetto delle nuove disposizioni che prevedono l’applicazione della ritenuta in capo al comodatario, il comodante resta titolare del reddito fondiario derivante dal possesso dell’immobile oggetto di comodato, mentre il comodatario/locatore diventa titolare del reddito derivante dal contratto di concessione in godimento, qualificabile come reddito diverso assimilabile alla sublocazione.

Quindi, per le locazioni brevi vengono superati i precedenti orientamenti di prassi che attribuivano al comodante la titolarità del reddito fondiario determinato tenendo conto anche dei corrispettivi derivanti dal contratto di locazione stipulato dal comodatario/locatore (cfr risoluzione n. 381/E e risoluzione n. 394/E del 2008).

La qualificazione reddituale dei proventi derivanti dal contratto di locazione non cambia anche nel caso in cui il contratto preveda la fornitura di servizi accessori strettamente connessi alla funzionalità dell’immobile.

Tutti i titolari dei redditi derivanti dai contratti di locazione breve possono optare per l’applicazione della cedolare secca sui corrispettivi riscossi ovvero scegliere di assoggettarli alla tassazione Irpef ordinaria.

Regime fiscale: dichiarazione e versamento
Il richiamo alla disciplina della cedolare secca implica che ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve si applicano le stesse disposizioni previste con riguardo al regime sostitutivo in materia di dichiarazione, liquidazione, accertamento, riscossione, rimborsi, sanzioni, interessi e contenzioso.

Ne deriva che la scelta per il regime agevolato si effettua con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui i canoni di locazione sono maturati o i corrispettivi sono riscossi ovvero, nell’ipotesi di eventuale registrazione del contratto, in tale sede.

Il locatore può esercitare l’opzione per ciascuno dei contratti stipulati, salvo il caso in cui siano locate singole porzioni della stessa abitazione per periodi in tutto o in parte coincidenti. In tal caso, infatti, l’esercizio dell’opzione per il primo contratto vincola anche il regime del contratto successivo.

Nell’ipotesi in cui il contratto di locazione sia stipulato da uno solo dei comproprietari, solo quest’ultimo può scomputare la ritenuta subita dal proprio reddito complessivo o chiedere il rimborso della maggior ritenuta subita sulla quota di reddito a lui non imputabile, qualora non abbia capienza per scomputarla dall’imposta dovuta sul reddito complessivo.
Gli altri comproprietari, invece, devono assoggettare a tassazione il reddito a essi imputabile pro-quota in sede di dichiarazione, applicando la cedolare secca o il regime ordinario di tassazione.

In sintesi, quindi, il locatore deve riliquidare l’imposta dovuta sul canone di locazione:

  • se non sceglie il regime sostitutivo della cedolare secca
  • se non ha subito la ritenuta (ad esempio, per i canoni incassati dagli intermediari prima del 12 settembre 2017)
  • se l’intermediario ha effettuato la ritenuta in assenza dei presupposti
  • nel caso in cui la ritenuta subita è maggiore dell’imposta dovuta. 

Infine, la circolare sottolinea che anche con riferimento ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve trova applicazione la disposizione secondo cui per il riconoscimento di deduzioni, detrazioni o benefici di qualsiasi titolo, nonché ai fini dell’Isee, si deve comunque tener conto anche del reddito assoggettato alla cedolare secca.