La materia è contenuta – come richiamato nella risoluzione – nell’articolo 13 del decreto legge 269/2003, il quale definisce i soggetti, il contenuto e la qualificazione fiscale dei confidi e, segnatamente per le finalità della problematica in questione, il trattamento tributario degli avanzi di gestione.
Infatti, la disposizione appena evocata, riformando in modo sostanziale la disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi e il relativo settore, ha, nel contempo, ampliato l’attività medesima di garanzia collettiva dei fidi, tradizionalmente svolta da consorzi e società cooperative, al fine di favorirne, anche attraverso il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario, il rilancio economico.
Come è noto, i confidi possono operare nella veste giuridica di consorzi con attività esterna, società cooperative, società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative, e sono costituiti da piccole e medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole, come definite dalla disciplina comunitaria.
La risoluzione richiama, in particolare, il comma 1 dell’articolo 13 del decreto, che contiene la definizione positiva dell’attività di garanzia collettiva dei fidi ovvero “l’utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica ed imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario“.
La risoluzione abbonda di richiami normativi per supportare le motivazioni di rigetto della soluzione interpretativa formulata dal contribuente, il quale, dopo la modifica statutaria dell’attività svolta, ambirebbe beneficiare del trattamento derogatorio previsto dal comma 46 dell’articolo 13 relativamente alle riserve in sospensione d’imposta.
Come dettagliatamente riportato nella risoluzione, infatti, l’interpellante, intendendo modificare il proprio statuto al fine di intraprendere, come intermediario finanziario, l’esercizio di attività di concessione di garanzie nei confronti del pubblico, pur mantenendo la forma di società consortile per azioni, ritiene che le riserve di utili in sospensione d’imposta debbano concorrere alla formazione del reddito nell’esercizio di distribuzione ovvero in tutte le ipotesi di utilizzo diverse dalla copertura delle perdite d’esercizio.
E’ opportuno al riguardo precisare che, ai fini delle imposte sui redditi, i confidi, comunque costituiti, si considerano enti commerciali anche se costituiti come consorzi. Infatti, in seguito all’entrata in vigore della disposizione richiamata nella risoluzione che si commenta, i confidi assumono la qualifica di enti commerciali di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 73 del Tuir e, conseguentemente, sono assoggettati al relativo regime sia sotto il profilo del trattamento tributario (e in particolare delle modalità di determinazione del reddito complessivo) sia degli adempimenti formali.
Alla qualificazione dei confidi quali enti commerciali consegue l’applicazione dell’articolo 73 del Tuir, secondo il quale il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa e si determina secondo le disposizioni di cui alla sezione I del capo II del Tuir medesimo.
In particolare, l’articolo 83 del Tuir dispone che detto reddito si determina apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri indicati nel Tuir medesimo.
La risoluzione evoca il comma 46, secondo capoverso, dell’articolo 13 perché introduttivo della deroga al detto articolo 83 in quanto statuisce che “il reddito d’impresa e’ determinato senza apportare al risultato netto del conto economico le eventuali variazioni in aumento conseguenti all’applicazione dei criteri indicati nel Titolo I, capo VI, e nel Titolo II, capo II, del testo unico delle imposte sui redditi…“.
Ne consegue che, per i confidi, non assumono rilevanza gli imponibili derivanti dalle variazioni fiscali in aumento apportate al risultato d’esercizio.
Il comma 46 dell’articolo 13 detta altresì disposizioni in materia di tassazione degli avanzi di gestione dei confidi.
Lo stesso comma 46 dispone, inoltre, che “gli avanzi di gestione accantonati nelle riserve e nei fondi costituenti il patrimonio netto dei confidi concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in cui la riserva o il fondo sia utilizzato per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio o dall’aumento del fondo consortile o del capitale sociale“.
Ai sensi della disposizione in esame, pertanto, gli avanzi di gestione maturati dai confidi e accantonati nelle riserve e nei fondi costituenti il patrimonio netto concorrono alla formazione del reddito dei confidi medesimi solo qualora detti fondi e riserve siano utilizzati per finalità diverse dalla copertura delle perdite di esercizio o dall’aumento del fondo consortile o del capitale sociale.
L’interpretazione edittale sia letterale che logica apoditticamente conduce alla conclusione che il regime derogatorio previsto dal comma 46 dell’articolo 13 del Dl 269/2003 non può trovare applicazione allo status dell’interpellante in quanto il cambiamento di attività che la società intende effettuare – ossia il passaggio dall’attività di garanzia collettiva dei fidi a quella di concessione di garanzie nei confronti del pubblico – determina il venir meno del regime agevolativo previsto nel comma 46 dell’articolo 13 a decorrere dal periodo di imposta in cui si verifica detto cambiamento.
L’agenzia delle Entrate non manca, tuttavia, di chiarire che il passaggio alla nuova attività di concessione di garanzie nei confronti del pubblico non determina, comunque, la tassazione di quelle riserve in sospensione d’imposta formatesi nei periodi di imposta pregressi ai sensi del predetto comma 46, posto che la variazione dell’attività esercitata non rappresenta un presupposto per la tassazione di tali riserve.
La necessità, poi, di individuare il presupposto che determina la tassazione delle riserve in sospensione d’imposta presenti nel patrimonio netto della società anche in seguito alla modifica statutaria conduce a richiamare ancora il comma 46.
Si ribadisce nella nota di prassi che “lo stesso comma 46 dell’articolo 13, da un lato, individua nell’utilizzazione della riserva il presupposto per la sua tassazione e, dall’altro, prevede delle specifiche deroghe (copertura di perdite d’esercizio, aumento del fondo consortile o del capitale sociale) in presenza delle quali non si ha tassazione poiché la riserva si considera non utilizzata“.
La riserva presente nel bilancio dopo il cambio di attività deve necessariamente concorrere alla formazione dell’imponibile nel momento in cui si manifesta il presupposto generale di tassazione (rappresentato dall’utilizzazione della riserva).
La riserva in sospensione d’imposta oggetto del quesito concorrerà alla formazione del reddito imponibile, quindi, nell’esercizio di utilizzazione, anche se tale utilizzo si concretizzi nella copertura delle perdite d’esercizio o nell’aumento del fondo consortile o nell’incremento del capitale sociale.