I costi sostenuti a fronte di fatture per omaggi e regalie non sono deducibili senza l’identificazione precisa della merce.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’AE avverso una società, ritenendo indeducibili i costi per carenza di motivazione. Tra i motivi esaminati, fattore di interesse è rappresentato dalla motivazione delle fatture relative alle spese per omaggi e regalie, le quali recavano una descrizione generica quanto a natura, aspetti quantitativi e qualitativi della merce oggetto di cessione. In tal modo, non era permessa la verifica del rispetto dei requisiti di certezza, precisione e determinabilità in ordine all’esistenza, all’ammontare, alla competenza temporale, nonché dell’inerenza con l’attività e la diretta correlazione con i ricavi.
Fatto
RILEVATO
che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi d’impresa emesso con riferimento all’anno d’imposta 2008 nei confronti della INFORTUNISTICA STRADALE s.a.s. di M.A., nonchè degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci M.A. e F.S., per i maggiori redditi di partecipazione nella predetta società, con la sentenza impugnata la CTR respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ravvisando la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per essere stato emanato l’avviso di accertamento senza la previa redazione e notifica di un processo verbale di constatazione delle violazioni tributarie con conseguente notifica ante tempus dell’atto impositivo, nonchè il difetto di motivazione del medesimo.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, cui replicano soltanto i soci della società contribuente.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, nonchè dei principi comunitari in materia di contraddittorio endoprocedimentale.
1.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che nella specie era mancato il contraddittorio nella fase amministrativa dal momento che non era stato redatto il processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, obbligatorio anche in caso di accertamento a tavolino, sicchè il contribuente non era stato posto nelle condizioni di esercitare la facoltà di presentare osservazioni ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, e l’atto impositivo era stato emesso ante tempus in assenza di particolare e motivata urgenza. Sostiene la ricorrente che tale statuizione oblitera gli approdi della Cassazione in tema di accertamenti a tavolino, come quello effettuato nel caso di specie e richiama, al riguardo, Cass. n. 10452 del 2018 e n. 6219 del 2018, argomentando, quindi, circa l’assenza di un obbligo di contraddittorio generalizzato con riferimento ai tributi non armonizzati, mentre per quelli armonizzati esso è condizionato dall’obbligo del contribuente, nella specie rimasto inadempiuto, di fornire la c.d. prova di resistenza.
2. Il motivo è fondato e va accolto.
3. Nella specie, in cui è incontestato che l’amministrazione finanziaria abbia espletato un accertamento c.d. “a tavolino” e, quindi, senza procedere ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale, difetta il presupposto applicativo della L. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e, quindi, della necessità di concedere al contribuente il termine dilatorio previsto dalla citata disposizione (cfr. ex multis, Cass. n. 27420 e n. 6219 del 2018, n. 3408 del 2017, n. 3142 del 2014, n. 13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013, p. 3.1).
4. La sentenza impugnata ha quindi erroneamente applicato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, che, sempre in tema di contraddittorio, ha ribadito che l’applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste.
4.1. Infatti, diversamente da quanto sostenuto dalla CTR, l’Ufficio, al di fuori delle ipotesi sopra indicate, “può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento” (cfr. anche, tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 maggio 2016, n. 10904; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2016, n. 8000; Cass. sez. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2016, n. 7600; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20849).
4.2. Al riguardo va ricordato che “In tema di accertamento tributario, la redazione del verbale di verifica e di quello conclusivo delle operazioni è richiesta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, (applicabile non solo in materia di IVA ma anche di imposte dirette, in virtù del richiamo operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1), esclusivamente nelle ipotesi di accesso finalizzato all’acquisizione di documentazione, e non anche in quello di accertamenti documentali cd. a tavolino, espletati autonomamente dall’Amministrazione finanziaria nei propri uffici” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8246 del 04/04/2018) e che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessario “per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento, perchè è in esso che si esterna ciò che si è constatato” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 31120 del 29/12/2017, Rv. n. 646575, in motivazione).
4.3. Da quanto detto discende che l’amministrazione finanziaria non era tenuta a redigere un processo verbale di constatazione e, conseguentemente, neppure poteva attendere il decorso del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 12, in assenza di un dies a quo.
5. Quanto poi all’obbligo del preventivo contraddittorio nella fase amministrativa, le Sezioni Unite di questa Corte hanno posto la basilare distinzione, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione Europea, chiarendo che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071).
5.1. Ne consegue, da un lato, che con riferimento ai tributi non armonizzati (ad esempio l’IRPEF, che pure viene in rilevo nel caso di specie), l’amministrazione finanziaria non aveva nessun obbligo di attivare il contraddittorio nella fase amministrativa, e dall’altro, che, con riferimento all’IVA, l’invalidità dell’atto impositivo è condizionato alla avvenuta prospettazione da parte della società contribuente nel ricorso introduttivo delle ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato” (in tal senso Cass. Sez. U. citate; sulla questione della c.d. prova di resistenza e del suo esito negativo, cfr., ex multis, Cass. n. 1969 e n. 3408 del 2017, n. 3142 del 2014, n. 13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013). Nello stesso senso si era anche pronunciata la Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 3 luglio 2014, in causa C-129/13 e C-130/13, Kamino, affermando che “Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”).
5.2. Pertanto la causa va rimessa al giudice d’appello per l’accertamento in fatto al medesimo spettante circa l’assolvimento da parte della società contribuente dell’onere su di essa incombente.
6. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè artt. 112 e 115 c.p.c..
6.1. Con il motivo in esame la ricorrente, oltre a censurare la statuizione impugnata nella parte in cui fa discendere la nullità dell’avviso di accertamento societario dal rilevato difetto di motivazione dello stesso, deduce, nel corpo del motivo, anche la nullità della sentenza per motivazione apparente affermando che “appare evidente come la motivazione della sentenza si riveli quantomeno “contraddittoria, perplessa o apparente”” (ricorso, pag. 13).
7. Con riferimento a tale ultima censura, occorre ribadire che il vizio denunciato ricorre quando il giudice, in violazione dell’onere motivazionale della sentenza che impone di esporre concisamente i motivi della decisione, omette di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione, chiarendo le prove utilizzate per addivenire alla propria decisione, così impedendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; tale difetto si ravvisa anche nei casi in cui la motivazione risulta “meramente apparente”, poichè benchè graficamente esistente non rende percepibile il fondamento della decisione dal momento che dietro la parvenza di giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta è tale da non consentire di comprendere le ragioni, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito (cfr., ex multis, Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016, Cass. n. 20414 del 2018 e n. 13977 del 2019).
7.1. In tal caso, il vizio dedotto non è ravvisabile in quanto la CTR, seppur concisamente, ha riportato le ragioni del decidere, fondate sull’analisi dell’accertamento stesso, parametrandone la motivazione all’obbligo sancito dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.
8. Merita invece accoglimento la censura della statuizione impugnata che ha rilevato un inesistente difetto di motivazione dell’avviso di accertamento societario.
9. Questa Corte ha precisato che il requisito motivazionale dell’accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano al contribuente di conoscere nel modo più compiuto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste dall’ufficio finanziario a fondamento dell’atto impositivo, e dunque di porlo in condizioni di apprestare un’adeguata difesa, restando poi affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. n. 23615 del 2011, Cass. n. 5645 del 2020).
10. La decisione della CTR, che ha ritenuto il provvedimento impositivo emesso nei confronti della società contribuente carente di motivazione nella parte relativa al disconoscimento dei costi, ritenuti indeducibili, e, per derivazione, quelli emessi nei confronti dei soci, è smentita dal contenuto dell’atto impugnato, fotograficamente riprodotto per autosufficienza nel ricorso, dal quale si possono evincere con chiarezza i fatti e le violazioni contestate. Invero, con riferimento ai componenti negativi nell’avviso di accertamento societario, è chiaramente spiegato che le fatture relative alle spese per “omaggi e regalie”, recavano una descrizione generica quanto a natura, aspetti quantitativi e qualitativi della merce oggetto di cessione, non permettendo di verificare il rispetto dei requisiti di certezza, precisione e determinabilità in ordine all’esistenza, all’ammontare, alla competenza temporale, nonchè l’inerenza con l’attività e la diretta correlazione con i ricavi; ancora, circa i costi per canoni di locazione fabbricati, l’Ufficio evidenziava nell’avviso di accertamento la mancanza del relativo contratto di locazione registrato e di documenti certi comprovanti l’effettivo pagamento degli oneri in questione; circa i costi del personale, contestava la deduzione delle indennità chilometriche rimborsate dalla società contribuente all’amministratore M. per l’utilizzo del mezzo proprio per trasferte, per difetto di idonea documentazione atteso che da quella prodotta dalla parte emergeva che l’autovettura utilizzata era nella disponibilità della società e non del M., in forza di un contratto di leasing finanziario da quella stipulato.
10.1. Risulta dunque chiaro come la CTR abbia errato nel ritenere carente di motivazione il contenuto dell’avviso di accertamento societario.
11. Da quanto detto consegue l’accoglimento del ricorso con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione Tributaria Regionale per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2021