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Disciplina dell’iper ammortamento: ulteriori chiarimenti dell’Agenzia

Le nuove precisazioni delle Entrate riguardano la determinazione dei costi rilevanti e il rispetto del temine per l’acquisizione da parte dell’impresa della perizia giurata

L’Agenzia delle entrate interviene nuovamente in materia di iper ammortamento. Con la risoluzione n. 152/E del 15 dicembre 2017, infatti, l’Amministrazione, sollecitata da numerose richieste di chiarimento, ha fornito ulteriori precisazioni sull’agevolazione con particolare riferimento alla determinazione dei costi rilevanti e ai termini per l’acquisizione della perizia giurata da parte dell’impresa beneficiaria.

Profili sostanziali: determinazione dei costi rilevanti
La prima parte della risoluzione è dedicata ai dubbi sorti rispetto alla determinazione del costo degli investimenti agevolabili.

Innanzitutto, all’Agenzia è stato chiesto se tra gli oneri accessori di diretta imputazione possano rientrare anche quelli relativi a piccole opere murarie necessarie per l’istallazione di un macchinario presso l’azienda.
Sul punto l’Amministrazione precisa che qualora le piccole opere murarie non abbiano natura di “costruzioni” in base alla disciplina catastale, i costi sostenuti per la loro realizzazione possono essere configurati come oneri accessori e, quindi, rilevare ai fini della disciplina dell’iper ammortamento.

Al contrario, non può essere considerato rilevante il costo della perizia giurata (o dell’attestazione) di conformità, trattandosi di un onere il cui sostenimento è richiesto esclusivamente per poter beneficiare dell’agevolazione.

Tra gli investimenti agevolabili rientrano anche le attrezzature che costituiscono dotazione ordinaria del bene agevolabile?
Per risolvere questo dubbio, l’Agenzia innanzitutto ricorda che alla luce della disciplina dell’iper ammortamento le attrezzature e gli altri beni strumentali non possono essere inclusi autonomamente in nessuna delle categorie di beni agevolabili.
Tuttavia, si deve ritenere che gli accessori strettamente indispensabili possono assumere rilevanza per l’agevolazione solo se costituiscono ordinaria dotazione del bene principale. Pertanto, in presenza di queste due condizioni (stretta indispensabilità e normale dotazione), l’iper ammortamento si estenderà anche al costo di tali attrezzature e accessori.
Inoltre, l’Agenzia sottolinea che le attrezzature e gli accessori strettamente necessari al funzionamento del bene principale ne costituiscono “normale dotazione” se il loro costo non eccede il 5% del costo del primo. Solo nei limiti di questo importo, quindi, si può presumere che le dotazioni siano accessorie (fatta salva la necessità che i relativi costi siano stati effettivamente sostenuti e debitamente documentati).
Il contribuente, peraltro, può comunque decidere di applicare l’iper ammortamento anche per l’importo che supera il limite del 5%. In questo caso, avrà l’onere di dimostrare in sede di controllo gli elementi a supporto dei maggiori costi inclusi nell’agevolazione.
Infine, la risoluzione precisa che la soluzione prospettata è applicabile sia nel caso in cui gli elementi accessori vengano acquisiti unitamente al bene principale, sia nel caso in cui vengano acquisiti separatamente (anche presso altri fornitori).

Profili procedurali: adempimenti documentali
Sul versante procedurale le questioni sottoposte all’attenzione dell’Agenzia delle entrate attengono agli adempimenti documentali espressamente richiesti per poter beneficiare dell’iper ammortamento.
Su questi aspetti, l’Amministrazione innanzitutto rinvia alla circolare n. 547750, pubblicata oggi, con la quale il ministero dello Sviluppo economico ha fornito chiarimenti sulla natura, sul contenuto e sulle modalità di redazione della perizia giurata o degli altri documenti previsti dalla legge.

L’Agenzia, dal canto suo, si sofferma, in particolare, sul rispetto del termine di acquisizione della perizia giurata, ricordando che le disposizioni in materia di iper ammortamento prevedono che per poter beneficiare dell’agevolazione le imprese sono tenute a produrre una dichiarazione resa dal legale rappresentante, ovvero, per i beni aventi ciascuno un costo di acquisizione superiore a 500mila euro, una perizia tecnica giurata rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali ovvero un attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato, attestanti che il bene possiede caratteristiche tecniche tali da includerlo negli elenchi dei beni agevolabili ed è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura.
Gli adempimenti documentali, come sottolineato dalla circolare n. 4/E del 30 marzo 2017, devono essere soddisfatti entro il termine di chiusura del periodo d’imposta a partire dal quale l’impresa intende avvalersi dell’agevolazione.
Nel caso in cui l’impresa decida di ricorrere alla perizia tecnica giurata, sono state segnalate possibili difficoltà per il rispetto del termine allorché l’entrata in funzione e l’interconnessione dei beni agevolabili avvengano proprio a ridosso degli ultimi giorni dell’anno. In queste situazioni, infatti, il professionista potrebbe incontrare oggettive difficoltà a completare la procedura con il giuramento.
In queste situazioni, l’Agenzia ritiene che, pur mantenendo fermo il rispetto del termine del 31 dicembre 2017 per l’effettuazione della verifica delle caratteristiche tecniche dei beni e dell’interconnessione (attraverso la consegna all’impresa di una perizia asseverata), il professionista può procedere al giuramento della perizia anche nei primi giorni successivi al 31 dicembre 2017.
Peraltro, la consegna entro il 31 dicembre della perizia asseverata e la sua acquisizione da parte dell’impresa deve risultare da un atto avente data certa (ad esempio, invio della perizia asseverata in plico raccomandato senza busta oppure invio della stessa tramite posta elettronica certificata).

Omesso invio dati liquidazioni Iva: le modalità per mettersi in regola

In arrivo le nuove missive del Fisco che invitano a fornire elementi, fatti e circostanze, non conosciuti dall’Agenzia delle entrate, in grado di giustificare presunte anomalie riscontrate

Per stimolare ulteriormente l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili, l’Agenzia delle entrate scrive ai contribuenti, soggetti passivi Iva, che hanno “dimenticato” di presentare la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva (articolo 21-bis, Dl 78/2010), mettendo a loro disposizione le informazioni derivanti dal confronto tra i dati delle fatture emesse e ricevute (articolo 21, Dl 78/2010) trasmessi dagli stessi contribuenti e dai loro clienti e le comunicazioni liquidazioni periodiche Iva.
In particolare, sono rese disponibili le informazioni dalle quali risulta che, nel trimestre di riferimento, sono state emesse fatture (e comunicati i relativi dati), ma non è stata inviata alcuna comunicazione liquidazioni periodiche Iva.
Con il provvedimento 28 novembre 2017, sono indicati tempi e modalità per regolarizzare errori od omissioni, con riduzione delle sanzioni previste, analogamente a quanto previsto per le ipotesi di omissione (totale o parziale) del volume d’affari.

Modalità e dati della missiva
Una comunicazione dell’Agenzia delle entrate arriverà all’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) dei contribuenti interessati, contenente i dati fiscali del destinatario nonché gli elementi utili al riscontro della violazione commessa, ossia:

  • codice fiscale, denominazione/cognome e nome del contribuente
  • numero identificativo della comunicazione, anno d’imposta e trimestre di riferimento
  • codice atto
  • modalità attraverso le quali consultare ulteriori informazioni dettagliate.

La stessa comunicazione, ma con maggiori elementi e dati più specifici, sarà a disposizione del contribuente, all’interno dell’area riservata del portale informatico dell’Agenzia delle entrate, denominata “La mia scrivania”, che permetterà di conoscere anche:

  • data di elaborazione del prospetto
  • numero dei documenti trasmessi dal contribuente e dai suoi clienti e fornitori per il trimestre di riferimento
  • dati identificativi dei clienti e dei fornitori
  • dati di dettaglio dei documenti emessi e ricevuti (tipo e numero, data di emissione e di registrazione, imponibile/importo, aliquota e imposta, natura operazione e stato del documento, se attivo, annullato o rettificato)
  • dati relativi al flusso di trasmissione (identificativo file, data di invio e numero della posizione del documento all’interno del file).

Indicazioni per il contribuente
La comunicazione conterrà, ovviamente, anche le indicazioni per mettersi in regola. Inoltre, il contribuente potrà chiedere, all’Agenzia delle entrate, ulteriori informazioni o segnalare eventuali elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti, anche mediante intermediari incaricati della trasmissione delle dichiarazioni.
Per regolarizzare gli errori o le omissioni eventualmente commessi, e beneficiare della riduzione delle sanzioni previste per le violazioni rilevate, il contribuente, in ragione del tempo trascorso, potrà avvalersi del ravvedimento operoso (articolo 13, Dlgs 472/1997).

Il provvedimento odierno specifica, inoltre, che al ravvedimento operoso, il contribuente può ricorrere a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo, di cui i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la notifica di un atto di liquidazione, di irrogazione delle sanzioni o, in generale, di accertamento, nonché il ricevimento di comunicazioni di irregolarità di cui agli articoli 36-bis del Dpr 600/1973, e 54-bis del Dpr 633/1972, e degli esiti del controllo formale di cui all’articolo 36-ter del Dpr 600/1973.

Seconda rata Imu-Tasi 2017: c’è tempo fino al 18 dicembre

Il versamento della seconda rata dell’Imu e della Tasi per il 2017 deve essere eseguito entro il prossimo 18 dicembre (il termine ordinario del 16 dicembre, infatti, quest’anno cade di sabato).
 
A ricordarlo è il dipartimento delle Finanze (DF) con un proprio comunicato pubblicato sul sito istituzionale.
 
Il pagamento deve essere eseguito a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata, sulla base di quanto stabilito dalle delibere comunali pubblicate, alla data del 28 ottobre 2017, nell’apposita sezione del sito.
 
Per determinare correttamente le aliquote applicabili per il versamento del saldo, nel comunicato si invitano i contribuenti a consultare le indicazioni messe a disposizione dal dipartimento.
 
In particolare, si ricorda che il versamento del saldo deve essere effettuato sulla base delle delibere approvate dal comune per il 2017 a condizione che:

  • la delibera sia stata adottata entro il 31 marzo 2017 e sia stata pubblicata sul sito internet www.finanze.gov.it entro il 28 ottobre 2017
  • l’aliquota fissata per la singola fattispecie impositiva non sia stata aumentata rispetto a quella applicabile nel 2015. 

Al contrario, il saldo Imu-Tasi deve essere versato sulla base delle aliquote vigenti nell’anno 2016:

  • in caso di delibera approvata dal comune oltre il termine del 31 marzo 2017 (fatte salve specifiche ipotesi in cui il l’ente locale può, in base a disposizioni di legge, adottare la delibera anche oltre il termine del 31 marzo, come, ad esempio, dissesto finanziario e accertamento negativo in ordine al permanere degli equilibri di bilancio)
  • nel caso in cui non vi sia nessuna delibera relativa alle aliquote dell’Imu e della Tasi pubblicata per il 2017 oppure nell’ipotesi in cui la delibera sia stata pubblicata oltre il termine del 28 ottobre 2017 (fatti salvi i casi in cui la legge prevede che siano efficaci anche le delibere pubblicate oltre tale termine). 

Si ricorda, inoltre, che prima del versamento è opportuno confrontare le aliquote determinate per il 2017 e quelle vigenti nel 2015 (la consultazione delle delibere comunali può essere eseguita sul sito www.finanze.gov.it). Infatti, qualora emerga che la delibera relativa al 2017 stabilisca un aumento delle aliquote Imu e Tasi rispetto al 2015, tale aumento è inefficace. Di conseguenza, il versamento deve essere effettuato sulla base dell’aliquota deliberata nel 2016, eccetto il caso in cui essa costituisca a sua volta un aumento rispetto al 2015. In tale ipotesi, infatti, il versamento per il 2017 dovrà essere effettuato sulla base dell’aliquota applicabile nel 2015 (peraltro, la sospensione degli aumenti dei tributi locali non si applica per i comuni che deliberano il dissesto e il predissesto).
 
Infine, qualora nel 2015 il Comune abbia deliberato la maggiorazione della Tasi dello 0,8 per mille, la stessa può essere applicata nel 2017 solo se espressamente confermata nel 2016.
 
Per maggiori e ulteriori approfondimenti, il comunicato rinvia alle Faq relative al versamento della seconda rata dell’Imu e della Tasi per il 2016, pubblicate il 2 dicembre 2016.

Residenza fiscale all’estero: niente dichiarazione in Italia

Redditi di lavoro dipendente e residenza fiscale all’estero, con iscrizione all’AIRE: niente dichiarazione, dice la Cassazione n. 21442/2017

In presenza di redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero, il cittadino italiano, privo di residenza fiscale in patria, non deve dichiarare tali proventi, né corrispondere le imposte nazionali, attesa la prevalenza della norma convenzionale rispetto alla normativa tributaria interna, in caso di contrasto fra le stesse. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione sezione tributaria nella sentenza N. 21442 del 13 ottobre 2017 … (segue)

Contributo albo autotrasporti 2018: quote e scadenze

In vigore la nuova delibera del MIT con le quote relative al contributo albo autotrasportatori da versare entro il 31.12.2017

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato la delibera 18.10.2017, pubblicata in G.U. lo scorso 30 ottobre, con cui definisce le quote dovute dalle imprese di autotrasporti per la gestione dell’albo nazionale autotrasportatori, da parte del  Comitato Centrale.

La delibera stabilisce che entro il 31 dicembre  2017,  le imprese iscritte all’Albo Nazionale degli Autotrasportatori alla stessa data, devono versare la quota dovuta sulla base degli importi già in vigore per il 2017. 

Il versamento della quota deve essere effettuato unicamente attraverso il sistema di pagamento telematico presente sul sito www.alboautotrasporto.it tramite carta di credito Visa, Mastercard, carta prepagata PostePay, conto corrente BancoPosta on line.

L’importo è visualizzabile  sul sito stesso e seguendo le istruzioni  in  esso reperibili.
Va sottolineato che qualora il versamento non venga effettuato entro il  termine  previsto  l’iscrizione  all’Albo  sarà sospesa.

 RIEPILOGO QUOTE ALBO AUTORASPORTI PER IL 2018  

1.1 Quota fissa di iscrizione dovuta da tutte le imprese comunque iscritte all’Albo: € 30,00 

1.2 Ulteriore quota dovuta da ogni impresa  in  relazione al numero di veicoli utilizzati  per l’attività:

  • A  da 2 a 5   € 5,16
  • B  da 6 a 10   € 10,33
  • C  da 11 a 50   € 25,82
  • D  da 51 a 100   € 103,29                        
  • E  da 101 a 200   € 258,23
  • F  superiore a 200   € 516,46

1.3 Ulteriore  quota aggiuntiva dovuta da ogni impresa  per ogni  veicolo con massa complessiva superiore ai 6000 kg:

  •   A    da 6.001 a 11.500 chilogrammi   € 5,16
  •   B   da 11.501 a 26.000 chilogrammi   € 7,75
  •   C    oltre 26.000 chilogrammi   € 10,33

Split payment ad ampio raggio: le novità in vista degli adempimenti

Possibilità di versamento diretto dell’Iva con F24 entro il 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza compensazione e con apposito codice tributo

Con la circolare 27/E del 7 novembre 2017 l’Agenzia delle entrate illustra la nuova disciplina Iva della scissione dei pagamenti (split payment) applicabile dal 1° luglio 2017.
Si tratta del meccanismo in base al quale l’Iva relativa agli acquisti di beni e servizi è versata direttamente all’Erario dagli acquirenti, scindendo appunto il pagamento dell’imponibile (effettuato in favore del fornitore) da quello dell’imposta (effettuato direttamente in favore dell’Erario).
La nuova disciplina, introdotta dall’articolo 1, Dl 50/2017 (convertito, con modificazioni, dalla legge 96/2017), alla luce delle nuove modalità di attuazione definite dai decreti del 27 giugno 2017 e del 13 luglio 2017, si caratterizza per:

  • l’estensione dell’ambito di applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti alle operazioni effettuate nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni destinatarie delle norme in materia di fatturazione elettronica obbligatoria, nonché delle società controllate da pubbliche amministrazioni centrali e locali, nonché delle società quotate incluse nell’indice Ftse Mib (“Pa e società”)
  • l’applicazione della scissione dei pagamenti ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute ai fini delle imposte sul reddito (professionisti)
  • la possibilità per le Pa e società acquirenti di beni e servizi di anticipare l’esigibilità dell’imposta al momento della registrazione della fattura di acquisto
  • la possibilità per le Pa e società acquirenti di beni e servizi di effettuare il versamento diretto dell’imposta dovuta con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza possibilità di compensazione e utilizzando un codice tributo che sarà appositamente istituito. Ciò, in alternativa, all’annotazione delle fatture di acquisto, oltre che nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25, Dpr 633/1972, anche nel registro di cui agli articoli 23 o 24 dello stesso Dpr.

Sotto il profilo temporale, la nuova disciplina si applica alle operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017 e la cui imposta sia divenuta esigibile dalla stessa data, fino al termine di scadenza della misura speciale di deroga rilasciata dal Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/Ce, ossia fino al 30 giugno 2020.

Ambito soggettivo di applicazione
La nuova disciplina della scissione dei pagamenti, applicabile dal 1° luglio 2017, riguarda gli acquisti di beni e servizi effettuati da soggetti rientranti nella nozione di pubblica amministrazione nonché da società controllate dalle Pa e dalle principali società quotate.

Individuazione delle Pubbliche Amministrazioni
Il meccanismo dello split payment si applica agli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni destinatarie delle norme in materia di fatturazione elettronica obbligatoria (articolo 1, commi da 209 a 214, legge 244/2007). Si tratta:

  • delle Pa inserite nel conto economico consolidato, individuate dall’Istat, e delle Autorità indipendenti
  • dei soggetti di cui all’articolo1, comma 2, Dlgs 165/2001, ossia: amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole e le istituzioni educative; aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo; regioni, province, comuni, comunità montane, e loro consorzi e associazioni; istituzioni universitarie, istituti autonomi case popolari, Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni; tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale; Aran e Agenzie fiscali di cui al Dlgs 300/1999; Coni
  • delle amministrazioni autonome. 

Ai fini dell’esatta individuazione delle Pa tenute ad applicare la scissione dei pagamenti occorre fare riferimento all’elenco pubblicato sul sito dell’Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa), www.indicepa.gov.it, senza considerare, tuttavia, i soggetti classificati nella categoria dei “Gestori di pubblici servizi”, che, pur essendo inclusi nell’anzidetto elenco, non sono destinatari dell’obbligo di fatturazione elettronica.
La disciplina della scissione dei pagamenti non si applica, inoltre, agli enti pubblici gestori di demanio collettivo, limitatamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi afferenti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico.

Individuazione delle società
La scissione dei pagamenti si applica agli acquisti effettuate dalle:

  • società controllate, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, nn. 1) e 2), del codice civile, direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri
  • società controllate, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, direttamente dalle regioni, province, città metropolitane, comuni, unioni di comuni
  • società controllate direttamente o indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, dalle società di cui alle lettere a) e b), ancorché queste ultime rientrino fra le società di cui alla lettera d) ovvero fra i soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 196/2009. In tale ambito sono incluse le società il cui controllo è esercitato congiuntamente dalle pubbliche amministrazioni centrali di cui alla citata lettera a) e/o da società controllate da queste ultime e/o dalle pubbliche amministrazioni locali di cui alla lettera b) e/o da società controllate da queste ultime
  • società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della borsa italiana.

In ordine alla specifica individuazione delle società per le quali trova applicazione la scissione dei pagamenti, occorre avere riguardo agli elenchi pubblicati sul sito istituzionale del dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia e delle Finanze. Tali elenchi, chiarisce l’Agenzia, hanno valore costitutivo e, a seguito della loro pubblicazione definitiva, non è più utile per il fornitore, richiedere alle Pa e società cessionari/committenti il rilascio di un documento attestante la loro riconducibilità a soggetti per i quali si applicano le disposizioni del presente articolo. L’eventuale rilascio dell’attestazione da parte del cessionario/committente in contrasto con il contenuto degli elenchi definitivi è, pertanto, evidenzia l’Agenzia, da ritenersi priva di effetti giuridici.

Ambito oggettivo di applicazione
Novità della disciplina applicabile dal 1° luglio 2017 è rappresentata dal fatto che vengono ricondotte nell’ambito di applicazione dello split payment, oltre alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate, nel territorio dello Stato, alle pubbliche amministrazioni e alle società di cui sopra, anche le prestazioni di lavoro autonomo rese a favore delle stesse che, fino al 30 giugno 2017, erano escluse.
La scissione dei pagamenti riguarda le operazioni documentate mediante fattura emessa dai fornitori, ai sensi dell’articolo 21, Dpr 633/1972, che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
Il documento di prassi si sofferma sulle fattispecie escluse sulla scissione dei pagamenti, implementandole ulteriormente rispetto a quelle già vigenti.
Si tratta delle seguenti fattispecie:

  • acquisti per i quali i cessionari o committenti sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto (reverse charge)
  • operazioni effettuate da fornitori che applicano regimi Iva “speciali”
  • operazioni esonerate dall’obbligo di certificazione fiscale, in relazione alle quali i corrispettivi sono annotati nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 24, Dpr 633/1972
  • operazioni in cui il soggetto passivo acquirente intende avvalersi, sussistendone i requisiti, del plafond di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c, Dpr 633/1972
  • operazioni nelle quali la Pa non effettua alcun materiale pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore in quanto il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli e – in forza di una disciplina speciale contenuta in una norma primaria o secondaria – trattiene lo stesso riversando un importo netto alla Pa committente
  • operazioni in cui il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli, in forza di un provvedimento giudiziale (ad esempio, le prestazioni rese dal professionista delegato dall’autorità giudiziaria alla procedura di esecuzione immobiliare, in relazione alla fatturazione del compenso)
  • operazioni effettuate tra Pa e società – entrambe destinatarie del meccanismo della scissione dei pagamenti – ogni qual volta l’assenza di pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore trovi la sua giustificazione nella compensazione tra contrapposti rapporti di credito
  • operazioni permutative di cui all’articolo 11, Dpr 633/1972
  • operazioni rese in favore dei dipendenti (ad esempio, vitto e alloggio per trasferta dipendenti) nell’interesse del datore di lavoro (Pa e società) quando la fattura sia stata emessa e intestata nei confronti del dipendente della Pa o società.

Adempimenti dei fornitori
In relazione all’operazione effettuata nei confronti della Pa e società il fornitore dovrà consultare gli elenchi predisposti dal dipartimento delle Finanze del Mef per verificare che l’acquirente sia incluso tra i soggetti obbligati alla scissione dei pagamenti e, in tal caso:

  • emettere la fattura con l’annotazione “scissione dei pagamenti” ovvero “split payment”
  • operare la registrazione delle fatture emesse senza computare (a debito) l’imposta ivi indicata nella liquidazione periodica.

Esigibilità dell’imposta
La nuova disciplina della scissione dei pagamenti presenta, rispetto alla precedente, alcune novità sotto il profilo dell’esigibilità dell’imposta. Analogamente, è previsto che l’imposta, relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, diviene esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi. La novità è, tuttavia, rappresentata dalla circostanza che le Pa e le società cessionarie/committenti possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della registrazione della fattura di acquisto.

Adempimenti delle Pa e società acquirenti
Una novità che caratterizza la nuova disciplina della scissione dei pagamenti riguarda la modalità di versamento dell’Iva all’Erario da parte di Pa e società che effettuano acquisti di beni e servizi nell’esercizio di attività commerciali. In tali ipotesi, pa e società cessionarie/committenti potranno effettuare il versamento diretto all’Erario dell’imposta dovuta con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile, senza possibilità di compensazione e utilizzando un apposito codice tributo.
In alternativa, le Pa e società potranno continuare ad avvalersi della possibilità, già prevista nella precedente disciplina, di annotare le fatture di acquisto nel registro di cui agli articoli 23 o 24, Dpr 633/1972, entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente nonché nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25, Dpr 633/1972, ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione della relativa imposta.

In sede di prima applicazione, con lo scopo di agevolare l’adeguamento dei processi e dei sistemi informativi relativi alla gestione amministrativo-contabile e, comunque, non oltre il 31 ottobre 2017, le pubbliche amministrazioni accantonano le somme occorrenti per il successivo versamento dell’imposta, da effettuarsi in ogni caso entro il 16 novembre 2017.
Il differimento del versamento dell’Iva da scissione dei pagamenti, tuttavia, non è applicabile alle pubbliche amministrazioni che già applicavano tale meccanismo a partire dal 1° gennaio 2015.
Le società tenute all’applicazione della scissione dei pagamenti possono annotare le fatture, per le quali l’esigibilità si verifica dal 1° luglio 2017 al 30 novembre 2017, ed effettuare il relativo versamento dell’imposta, entro il 18 dicembre 2017.

Regolarizzazione e note di variazione
Chiarisce il documento di prassi che, a decorrere dal 1° luglio 2017, nell’ipotesi in cui il fornitore emetta nei confronti delle nuove pubbliche amministrazioni e società interessate dalla rinnovata disciplina una nota di variazione in aumento, torna sempre applicabile il meccanismo della scissione dei pagamenti. Diversamente, quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione, che si riferisce a fatture originarie emesse prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina della scissione dei pagamenti, alla stessa si applicheranno le regole ordinarie. Si conferma la semplificazione, già prevista in passato, per cui ai fornitori che hanno già implementato i propri sistemi di fatturazione e contabilità alla disciplina della scissione dei pagamenti è consentito applicare la predetta disciplina anche per le note di variazione in diminuzione emesse dopo il 1° luglio 2017 che si riferiscono ad una fattura originaria emessa antecedentemente a tale data, ossia prima dell’introduzione della nuova disciplina dello split payment.

Acconto Iva
Con riferimento all’acconto Iva, la circolare precisa che le Pa e società cessionarie/committenti, laddove soggetti passivi Iva, nel determinare il versamento dell’acconto Iva da effettuare nel mese di dicembre devono tenere conto anche dell’imposta divenuta esigibile ai sensi della disciplina della scissione dei pagamenti.
Per l’anno 2017, tuttavia, pa e società che determinano l’acconto Iva con il “metodo storico”, ossia secondo le risultanze dell’anno 2016, dovranno operare un ulteriore versamento di acconto, determinato sulla base dell’ammontare dell’imposta da scissione dei pagamenti divenuta esigibile nel mese di novembre 2017, ovvero, in caso di liquidazione trimestrale, nel terzo trimestre del 2017.

Rimborsi
Al fine di limitare gli effetti finanziari negativi per i fornitori che, a seguito della disciplina della scissione dei pagamenti, non incasseranno l’Iva dovuta sulle operazioni rese a pubbliche amministrazioni e società, la circolare rammenta la possibilità per i contribuenti di chiedere in tutto o in parte, nella dichiarazione annuale o nell’istanza trimestrale, il rimborso dell’eccedenza detraibile (se di importo superiore a 2.582,28 euro), computando le operazioni effettuate in regime di split payment tra le operazioni cosiddette ad aliquota zero. Tali operazioni danno diritto, inoltre, all’erogazione prioritaria del rimborso nel limite dell’ammontare dell’imposta applicata a tali operazioni nel periodo di riferimento.

Sanzioni
La circolare in commento rammenta che per le forniture di beni e servizi effettuate nei confronti delle pa e società, i fornitori devono emettere fattura con l’indicazione “scissione dei pagamenti” o “split payment”, pena l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 9, comma 1, D lgs 471/1997.
L’omesso o ritardato adempimento del versamento all’Erario (per conto del fornitore) da parte delle Pa e società è sanzionato ai sensi dell’articolo 13, Dlgs 471/1997.
La circolare ben evidenzia, infine, che in ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, in considerazione dell’incertezza in materia in sede di prima applicazione della nuova disciplina, sono fatti salvi i comportamenti finora adottati dai contribuenti anteriormente all’emanazione della circolare dell’Agenzia delle entrate, sempre che l’imposta sia stata assolta, ancorché in modo irregolare.

Manuela Dolei
Antonino Iacono

Rottamazione delle cartelle: ecco come essere riammessi

I contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata, ma non hanno saldato in tutto o in parte le prime due rate, possono mettersi in regola entro il prossimo 30 novembre

 

C’è tempo fino al 30 novembre 2017 per rimettersi in regola con i pagamenti scaduti della definizione agevolata. I contribuenti che avevano già aderito alla “rottamazione delle cartelle” e che hanno saltato, o pagato parzialmente, le prime due rate (le scadenze erano fissate al 31 luglio 2017, per la prima o unica rata e al 2 ottobre 2017 per la rata successiva) potranno pagare le rate non versate senza l’aggiunta di sanzioni o ulteriori interessi. Per effettuare il pagamento è possibile utilizzare i bollettini RAV ricevuti dall’Agente della riscossione nella comunicazione di avvenuta adesione.

È questa una delle principali novità introdotte dal decreto fiscale 148/2017 (articolo 1, comma 1). In tal modo, si consente ai contribuenti interessati di rimettersi in regola e di non perdere i benefici previsti dalla rottamazione, semplicemente saldando le rate scadute previste dal piano di rateizzazione della definizione agevolata.

Si ricorda, inoltre, che il prossimo 30 novembre scade anche la terza rata del piano.

In altri termini, per effetto dello slittamento al 30 novembre della scadenza della prima e della seconda rata, i contribuenti che non avevano rispettato i termini originari non saranno più considerati “decaduti” (come inizialmente previsto dal Dl 193/2016). Nel caso in cui il contribuente abbia effettuato un pagamento parziale di una o due rate, potrà versare la differenza (saldo) entro il 30 novembre.

Con il versamento del totale complessivo delle rate scadute, e dell’eventuale terza rata, entro la scadenza di fine novembre, i contribuenti saranno considerati in regola con i pagamenti per l’anno 2017 e non dovranno compiere ulteriori adempimenti.
Resta inteso che dovranno comunque essere rispettate le altre eventuali scadenze, quarta e quinta rata, previste nel piano di rateizzazione per non perdere i benefici previsti dalla rottamazione.

Per effettuare il pagamento sono disponibili i seguenti canali:

  • sportelli bancari e uffici postali, presentando all’operatore il bollettino RAV ricevuto dall’Agente della riscossione
  • internet banking, collegandosi al sito della propria banca per utilizzare il servizio per il pagamento dei RAV (è sufficiente inserire il numero del bollettino RAV e l’importo da pagare, mentre non è obbligatorio indicare la causale)
  • sportelli bancomat (Atm) abilitati, utilizzando la propria tessera bancomat e accedendo al servizio per il pagamento dei RAV
  • tabaccai convenzionati con Banca 5 SpA, punti vendita Sisal e Lottomatica (in tal caso, il contribuente deve presentare il bollettino RAV ricevuto dall’Agente della riscossione e il rivenditore provvederà a effettuare il pagamento)
  • sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione (il contribuente non deve necessariamente presentare il bollettino RAV, ma può richiedere di pagare indicando anche solo il proprio codice fiscale. L’operatore di sportello provvederà a effettuare il pagamento)
  • sito Agenzia delle entrate-Riscossione e App Equiclick (il contribuente può pagare il bollettino RAV collegandosi alla sezione pagamenti del sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it, inserendo il proprio codice fiscale, il codice RAV e l’importo dovuto). 

Si ricorda, inoltre, che è possibile pagare i tributi indicati nelle cartelle di pagamento, utilizzando in compensazione crediti commerciali “certificati” vantati nei confronti della pubblica amministrazione (per saperne di più si rinvia all’apposita sezione del sito di Agenzia entrate-Riscossione).
Sullo stesso sito, infine, i contribuenti possono trovare utili guide sintetiche, le risposte alle domande più frequenti (Faq) e le pagine informative relative alla definizione agevolata.

Società Cooperative: costituzione e riferimenti normativi

Società Cooperative: costituzione e riferimenti normativiLe società cooperative sono uno dei tipi societari disciplinati dal codice civile italiano e sono società realizzate per gestire le imprese che si prefiggono come scopo fondamentale quello di fornire agli stessi soci quei beni o servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è nata (scopo mutualistico).

Ecco tutte le principali regole ed i principali riferimenti normativi in materia di società cooperative.

Società cooperative: i settori di operatività

Dopo aver compreso cosa siano e quale sia lo scopo delle società cooperative, passiamo ora ad analizzare i settori in cui le cooperative possono operare.

Le società cooperative operano in una molteplicità di settori ad esempio:

  • il settore del credito cooperativo attraverso l’istituto delle Banche di Credito Cooperativo (BCC). In questo caso l’obiettivo è fare una politica del credito equa verso i loro soci e clienti, discostandosi da logiche di mero guadagno. In realtà, le banche di credito cooperativo hanno assunto in Italia una operatività molto vicina a quella delle banche commerciali ordinarie, ragion per cui nel 2015 il Governo Renzi è intervenuto con un’apposita riforma;
  • il settore della produzione come avviene per le società cooperative agricole, nelle quali ciascun socio conferisce i propri prodotti alla cooperativa medesima, al fine di rivenderli;
  • il settore del lavoro in genere, in cui la cooperativa impiega direttamente il lavoro dei soci;
  • il settore delle costruzioni con le cooperative edilizie.

La definizione di società cooperative nel codice civile

La definizione giuridica delle società cooperative è fornita dagli articoli 2511 e 2512 del codice civile. Ai sensi dell’articolo 2511 del codice civile le cooperative sono definite come segue:

“Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte presso l’albo delle società cooperative di cui all’articolo 2512, secondo comma, e all’articolo 223 sexiesdecies delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”

Il successivo articolo 2512 del codice civile fornisce la definizione di cooperative a mutualità prevalente ovvero:

“Sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che:
1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;
2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.
Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci”.

Le definizioni sopra riportate sono figlie della riforma del diritto societario del 2003. Attraverso il decreto legislativo 6/2003 di riforma del diritto societario, infatti, le società cooperative sono state distinte in:

  • cooperative a mutualità prevalente;
  • cooperative non a mutualità prevalente.

La riserva di agevolazioni fiscali previste dalle leggi tributarie è stata prevista solo in favore delle cooperative a mutualità prevalente.

Costituzione società cooperative: forma atto pubblico, registro imprese e numero minimo di soci

Le società cooperative possono costituirsi solo mediante atto pubblico. L’atto costitutivo stabilisce le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica e può prevedere che la società svolga la propria attività anche con terzi (articolo 2521 commi 1 e 2 del codice civile).

Dati da indicare nell’atto costitutivo delle società cooperative:

Ai sensi dell’articolo 2521 comma 3 del codice civile gli elementi identificativi da indicare nell’atto costitutivo della società cooperativa sono i seguenti:

1) il cognome e il nome o la denominazione, il luogo e la data di nascita o di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci;

2) la denominazione, e il comune ove è posta la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

3) la indicazione specifica dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti e agli interessi dei soci;

4) la quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, i versamenti eseguiti e, se il capitale è ripartito in azioni, il loro valore nominale;

5) il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura;

6) i requisiti e le condizioni per l’ammissione dei soci e il modo e il tempo in cui devono essere eseguiti i conferimenti;

7) le condizioni per l’eventuale recesso o per la esclusione dei soci;

8) le regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni;

9) le forme di convocazione dell’assemblea, in quanto si deroga alle disposizioni di legge;

10) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società;

11) il numero dei componenti del collegio sindacale;

12) la nomina dei primi amministratori e sindaci;

13) l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico delle società.

Numero minimo soci società cooperativa

Il numero minimo di soci con il quale una società cooperativa può costituirsi è di 9 unità secondo quanto dispone in materia l’articolo 2522 del codice civile, rubricato proprio “Numero dei soci”:
“Per costituire una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove.

Può essere costituita una società cooperativa da almeno tre soci quando i medesimi sono persone fisiche e la società adotta le norme della società a responsabilità limitata; nel caso di attività agricola possono essere soci anche le società semplici.

Se successivamente alla costituzione il numero dei soci diviene inferiore a quello stabilito nei precedenti commi, esso deve essere integrato nel termine massimo di un anno, trascorso il quale la società si scioglie e deve essere posta in liquidazione.

La legge determina il numero minimo di soci necessario per la costituzione di particolari categorie di cooperative”.

Iscrizione al registro delle imprese delle società cooperative

Secondo quanto disposto dall’articolo 2523 del codice civile “il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo deve depositarlo entro venti giorni presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a norma dell’articolo 2330. Gli effetti dell’iscrizione e della nullità sono regolati rispettivamente dagli articoli 2331 e 2332”.

 

Nuovi adempimenti contabili per le imprese in contabilità semplificata: i registri IVA “integrati”

La legge di Bilancio 2017 è intervenuta in modo sostanziale nei confronti delle imprese in contabilità semplificata, le quali dal periodo d’imposta 2017 determinano il reddito secondo un criterio “improntato alla cassa”, così come previsto dall’art. 66 del TUIR.

Le profonde modifiche introdotte hanno richiesto la contestuale revisione delle disposizioni riguardanti gli adempimenti contabili obbligatori, disciplinati dal riformulato art. 18 del D.P.R. 600/1973.

Tra le tre possibili alternative previste per l’assolvimento degli obblighi contabili dal “nuovo” art. 18, le cui caratteristiche sono state approfondite nella Circolare 11/E del 13 aprile 2017 (tenuta del registro degli incassi e pagamenti in aggiunta ai registri IVA, dei soli registri IVA “integrati”, dei registri IVA senza indicazione dei mancati incassi e pagamenti – criterio della c.d. “Registrazione”) di seguito verrà analizzato il metodo dei registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti, previsto dal comma 4 dell’art. 18 del D.P.R. 633/1972.

Il suddetto comma 4 prevede, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti, l’istituzione dei registri IVA “integrati”, consentendo di utilizzare i soli registri Iva (con sparata annotazione delle operazioni non soggette ad IVA) “integrandoli” con l’indicazione cronologica degli incassi e dei pagamenti o, in alternativa, riportando a fine esercizio i mancati incassi e pagamenti.

Registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti

Il metodo utilizza i soli registri IVA: nel caso in cui l’incasso o il pagamento del documento non sia avvenuto nell’anno di registrazione, sarà necessario dare evidenza, al termine di ciascun periodo d’imposta, dell’importo totale dei mancati incassati/pagati, dettagliando gli estremi dei documenti cui si riferiscono.

Tutte le operazioni annotate nei registri saranno quindi di conseguenza considerate incassate e pagate, eccezion fatta per quelle riportate nell’elenco dei “sospesi” che concorreranno alla determinazione del reddito nel periodo in cui avverrà la manifestazione finanziaria.

Nel periodo d’imposta dell’incasso/pagamento, si dovrà poi annotare separatamente, entro 60 giorni dall’evento, l’importo dei ricavi e dei costi incassati/pagati nell’anno e riferiti a documenti contabili registrati in periodi precedenti, richiamando gli estremi del relativo documento (si ritiene debbano essere riportate le generalità del cliente/fornitore, numero e data del documento di riferimento, importo del costo/ricavo).

Fermo restando il rispetto dei termini di registrazione previsti dalla normativa IVA (art. 23 e ss. del D.P.R. 633/1972), la Circolare 11/E precisa i termini di registrazione delle operazioni ai fini della determinazione del reddito:

fatture-acquisto

Ad esempio, supponiamo che un’impresa adotti nel corso del 2017 il metodo dei registri Iva “integrati”.

Nel corso del periodo d’imposta non sono state incassate/pagate due fatture annotate nei registri IVA vendite/acquisti.

Alla fine della determinazione del reddito secondo il criterio di “cassa” nei registri IVA dovrà essere riportato rispettivamente:

  • il totale dei mancati incassi dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti attivi, registrati nel periodo e non incassati (o parzialmente non incassati) nel corso del periodo d’imposta;
  • il totale dei mancati pagamenti dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti passivi, registrati nel periodo e non pagati (o parzialmente non pagati) nel corso del periodo d’imposta.

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti

Supponendo che nel corso del primo trimestre del 2018 l’impresa incassi e paghi le precedenti fatture, sarà necessario annotare separatamente nei registri IVA, entro 60 giorni, il relativo incasso e pagamento nei registri IVA, in tal caso:

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite-2

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti-2

L’applicazione di tale metodo risulta particolarmente complessa per i soggetti che applicano i regimi speciali IVA del margine per la vendita di beni usati, oggetti d’arte, antiquariato o da collezione e le agenzie di viaggio, i quali determinano l’IVA in un momento successivo a quello di emissione del documento.

La Circolare 11/E citata precisa che nel caso in cui per tali soggetti risulti impossibile determinare l’ammontare dei mancati incassi e pagamenti al netto dell’IVA, si dovrà optare per il metodo della c.d “Registrazione” prevista dal comma 5 dell’art. 18, secondo cui per le operazioni rilevanti ai fini IVA la data di registrazione coincide con il suo incasso/pagamento.

Silena Stival – Centro Studi CGN

Il coniuge cointestatario del mutuo per ristrutturazione detrae il 100%

Alla morte della moglie, il marito che abbia provveduto ad accollarsi interamente il finanziamento può fruire del beneficio sull’intero ammontare degli interessi passivi sostenuti

Il coniuge superstite può usufruire della detrazione degli interessi passivi e relativi oneri accessori sul mutuo ipotecario contratto per la ristrutturazione dell’abitazione principale, di cui è contitolare insieme al coniuge deceduto, a condizione che provveda alla regolarizzazione dell’accollo del mutuo.
Lo chiarisce la risoluzione 129/E del 18 ottobre 2017, che, per motivi di coerenza e sistematicità, si allinea al principio già esposto con riferimento ai contratti di mutuo stipulati per l’acquisto dell’abitazione principale.

L’interpello
Un contribuente, che ha contratto insieme al coniuge un mutuo ipotecario per ristrutturare la propria abitazione, chiede all’Agenzia se, in seguito alla morte del coniuge cointestatario del finanziamento, accollandosi il mutuo per intero, possa usufruire della detrazione del 19% dell’intera quota degli interessi passivi, analogamente a quanto accade con riferimento ai contratti di mutuo stipulati per l’acquisto dell’abitazione principale.

Il parere dell’Agenzia
Nell’articolare la risposta all’istanza di interpello, l’Agenzia prende avvio da una sintetica ricostruzione della disciplina in materia di detrazione degli interessi passivi sostenuti in relazione a contratti di mutuo ipotecario stipulati per la costruzione dell’abitazione principale (articolo 15, comma 1-ter, Tuir).

A tal proposito, la risoluzione ricorda che il legislatore ammette la detrazione a condizione che:

  • l’unità immobiliare da costruire  sia quella nella quale il contribuente (o i suoi familiari) intendono dimorare abitualmente
  • l’immobile diventi abitazione principale entro sei mesi dal termine dei lavori di costruzione
  • il contratto di mutuo sia stipulato dal soggetto che avrà il possesso dell’unità immobiliare a titolo di proprietà o di altro diritto reale
  • i lavori di costruzione siano ultimati entro il termine previsto dal titolo abilitativo, salvo possibilità di proroga
  • il mutuo sia stipulato nei sei mesi antecedenti all’inizio dei lavori ovvero nei diciotto mesi successivi. 

Al ricorrere di tali condizioni è riconosciuta la detraibilità degli interessi passivi – e relativi oneri accessori – derivanti da contratti di mutuo ipotecario stipulati per la costruzione dell’abitazione principale, nella misura del 19% per un ammontare complessivo non superiore a 2.582,28 euro.
La risoluzione, inoltre, ricorda che le condizioni e le modalità applicative sono indicate nel Dm 30 luglio 1999, il quale, all’articolo 1, comma 1, dispone che: “(…) per costruzione di unità immobiliare si intendono tutti gli interventi realizzati in conformità al provvedimento di abilitazione comunale che autorizzi una nuova costruzione, ivi compresi quelli di cui all’art. 31, comma primo, lettera d), della Legge 5 agosto 1978, n. 457 [ora trasfuso nell’articolo 3 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con Dpr 380/2001]” ovvero gli interventi di ristrutturazione edilizia.

Il documento di prassi precisa, inoltre, che la detrazione in esame, in caso di ristrutturazione edilizia, compete in presenza di un provvedimento di abilitazione comunale nel quale sia indicato specificatamente che i lavori eseguiti rientrano nell’ambito di quelli previsti dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del Dpr 380/2001. In carenza di ciò, la detrazione spetta solo se il contribuente è in possesso di un’analoga sottoscrizione del responsabile del competente ufficio comunale.

Per quanto riguarda la destinazione del mutuo ipotecario per il finanziamento della costruzione o della ristrutturazione dell’abitazione principale, analogamente a quanto avviene nell’ipotesi di mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale, l’Agenzia, con la risoluzione 241/2007, confermata poi con la circolare 7/2017, aveva già chiarito che la destinazione del mutuo deve risultare dal contratto stesso o, in mancanza, dalla dichiarazione resa dalla banca o, altrimenti, da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del contribuente, ai sensi dell’articolo 47 del Dpr 445/2000.

Ciò detto, avendo l’istante, a seguito della morte della moglie, provveduto alla voltura del finanziamento a suo nome, ha diritto di portare in detrazione dall’imposta lorda il 19% dell’intera quota di interessi passivi, così come accade in caso di morte di un mutuatario contitolare di un contratto di acquisto dell’abitazione principale. In proposito, infatti, anche la circolare 122/1999, punto 1.2.1, ha chiarito che il coniuge superstite può usufruire della detrazione per gli interessi passivi e oneri accessori relativi al mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’abitazione principale, di cui è contitolare insieme al coniuge deceduto, a condizione che provveda a regolarizzare l’accollo del mutuo.

Nel caso di specie, quindi, l’Agenzia, per motivi di coerenza e sistematicità, applica lo stesso principio e, quindi, si allinea alla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.
Con la risoluzione in esame, infatti, l’amministrazione afferma che l’istante, in qualità di coniuge superstite cointestatario – insieme alla moglie – del mutuo ipotecario stipulato per la ristrutturazione della propria abitazione, avendo provveduto ad accollarsi l’intero mutuo, potrà usufruire della detrazione sul 100% dei relativi interessi passivi sostenuti. Resta inteso che il beneficio è consentito ove ricorrano tutte le altre condizioni richieste dalla norma agevolativa. 

Agevolazioni prima casa all’erede sull’immobile già in comproprietà

Non risulta preclusivo il fatto che prima del decesso del marito, la moglie ne avesse il possesso in comunione con il de cuius, in quanto con la morte tale regime si estingue

Nel caso in cui per effetto della successione, il coniuge quale unico erede diviene pieno proprietario di più immobili, siti nello stesso comune, in precedenza posseduti in comproprietà con il coniuge deceduto, può fruire dell’agevolazione ‘prima casa’, ai sensi dell’articolo 69, comma 3, della legge 342/2000, in relazione all’acquisto di uno dei predetti immobili. Non risulta preclusiva alla fruizione dell’agevolazione la circostanza che prima del decesso del coniuge, il contribuente possedesse detti immobili in comproprietà con il de cuius, in quanto con la morte il regime della comunione viene meno.

Questo il chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate, con la risoluzione 126/E del 17 ottobre 2017, in risposta a un interpello proposto da un contribuente riguardo all’applicazione dell’agevolazione ‘prima casa’ per le quote di uno degli immobili caduti in successione alla morte del coniuge.
In particolare, la fattispecie riguarda un unico erede testamentario che possedeva in comunione con il coniuge tre immobili abitativi siti nello stesso comune.
Per effetto della successione, la quota parte dei predetti immobili appartenenti al coniuge defunto venivano devolute all’erede istante, il quale non aveva mai fruito delle agevolazioni ‘prima casa’.

L’Agenzia, in via preliminare, richiama le disposizioni contenute nell’articolo 69, della legge 342/2000, che prevede, al comma 3, l’applicazione in misura fissa delle imposte ipotecaria e catastale per i trasferimenti della proprietà di case di abitazione ‘non di lusso’ e per la costituzione e il trasferimento di diritti immobiliari relativi alle stesse, derivanti da successioni e donazioni.
Dette imposte fisse si applicano quando in capo al beneficiario, ovvero in caso di pluralità di beneficiari in capo ad almeno uno di essi, sussistano i requisiti e le condizioni previste in materia di acquisto della prima abitazione dall’articolo 1, comma 1, della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro (legge 131/1986).
Il rinvio effettuato dal comma 3 alle case di abitazioni ‘non di lusso ’, precisa l’Agenzia, deve essere inteso – dopo le modifiche normative apportate dall’articolo 10, Dlgs 23/2011, all’articolo 1 della tariffa, parte prima del Tur – riferito alle case di abitazione diverse da quelle appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (cfr circolare 2/2014).

Ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 69, le dichiarazioni di cui alla nota II-bis dell’articolo 1 della tariffa, parte prima, sono rese dall’interessato nella dichiarazione di successione o nell’atto di donazione.
L’Agenzia ricorda quanto già chiarito con circolare 207/2000, ovvero che l’interessato, per poter beneficiare dell’agevolazione, deve rendere la dichiarazione della sussistenza delle seguenti condizioni:

  • di avere la residenza nel territorio del comune ove è ubicato l’immobile da acquistare o di volerla stabilire entro diciotto mesi dall’acquisto
  • di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare
  • di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni.

La sussistenza in capo al beneficiario di tutte le condizioni sopra richiamate deve riferirsi al momento del trasferimento, che si realizza con l’apertura della successione.

Dunque, nella fattispecie in cui, per effetto della successione, l’erede diviene pieno proprietario di tre immobili siti nello stesso comune, in precedenza posseduti in comunione con il coniuge defunto, lo stesso può chiedere l’applicazione delle agevolazioni ‘prima casa’, ai sensi del citato articolo 69, consistenti nell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa, in relazione all’acquisto di uno dei tre immobili.
A parere dell’Agenzia delle entrate non risulta preclusiva alla fruizione dell’agevolazione in parola, la circostanza che, prima del decesso, l’erede possedesse detti immobili in comunione con il coniuge, in quanto con la morte del de cuius viene meno il  regime di comunione.
Come affermato dalla Corte di cassazione, infatti, la morte del coniuge determina lo scioglimento del matrimonio, ovvero il verificarsi di una causa di scioglimento della comunione (cfr sentenza, 13760/2015).
Cessato, dunque, il regime di comunione sugli immobili per effetto della morte del coniuge, il contribuente si trova nelle condizioni di poter dichiarare di non essere titolare in comunione con il coniuge di diritti sui predetti immobili.

Non appare preclusiva neanche la circostanza che, per effetto della successione, il contribuente divenga proprietario esclusivo di detti immobili, in quanto la dichiarazione da rendere deve essere riferita a immobili diversi da quelli che, proprio per successione, vengono acquistati.
In sostanza, la dichiarazione non deve tenere conto di quei beni o quote degli stessi che vengono acquistati con la successione.
Ferma restando la sussistenza delle condizioni previste dalla citata nota II-bis, l’erede unico può, dunque, invocare le agevolazioni ‘prima casa’.
Tuttavia, precisa l’Agenzia, l’agevolazione può essere richiesta solo per l’acquisto di uno degli immobili caduti in successione, come a suo tempo precisato con la circolare 44/2001.
Sulle rimanenti unità immobiliari, pervenute con la stessa successione, devono, quindi, essere corrisposte le imposte ipotecaria e catastale nella ordinaria  misura proporzionale. 

E-fattura: da luglio 2018 debutto per carburanti, nel 2019 estesa a tutti

La manovra 2018 traduce in realtà l’obbligo di fattura elettronica nelle operazioni tra privati. Un obbligo che, però, sarà articolato in due tempi. Si comincerà dal 1° luglio 2018 per cessioni di benzina o gasolio per motori e per le prestazioni di subappaltatori nel quadro di un contratto di appalti pubblici. Poi dal 1° gennaio 2019 l’obbligo sarà esteso a tutte le operazioni business to business (le cosiddette B2B) e viaggerà attraverso il sistema di interscambio (lo Sdi), lo stesso canale in cui sono già transitate le fatture elettroniche verso la Pa e di recente i dati delle comunicazioni delle liquidazioni Iva e quelli per lo spesometro. E in questo caso non sono mancati problemi, come più volte sottolineato nelle ultime settimane.

La filiera dei carburanti 

Partire dalla filiera dei carburanti ha un significato e un obiettivo strategico ridurre le frodi Iva che penalizzano le imprese che operano correttamente. Frodi che scaturiscono sia dall’utilizzo di lettere d’intento false che dai depositi Iva. Qualche esempio? Il prodotto parte da un deposito fiscale (conosciuto e ben identificato) ed è destinato a un altro deposito commerciale o a una pompa di benzina. Ma tra il mittente e destinatario si interpongono una serie di soggetti non tracciati che effettuano la frode (acquisto senza Iva, fattura con Iva al cliente, non versamento dell’imposta e scomparsa dell’impresa interposta). Da qui l’esigenza di una totale tracciabilità di tutti i passaggi che la fattura elettronica potrebbe contribuire a garantire.

L’estensione a tutti gli altri operatori 

Dal 2019 la fattura elettronica diventerebbe obbligatoria per tutte le operazioni B2B. Per poter allargare la fattura elettronica a tutte le operazioni commerciali tra operatori economici, l’Italia è passata da una richiesta alla Commissione europea che le consentisse di derogare al divieto comunitario all’obbligatorietà. Una delle motivazioni a sostegno è rappresentato dall’alto divario misurato con il tax gap, ossia la differenza tra l’Iva teoricamente dovuta e quella poi effettivamente riconosciuta all’Erario. Un divario “certificato” anche dall’ultimo rapporto sull’evasione Iva di Bruxelles, per il quale il gap dell’Italia è stato di 35 miliardi di euro nel 2015, ossia il più alto di tutta l’Unione in valore assoluto.